Il Papa non parla da una sfera eterea alle anime “vagulae blandulae” di Adriano. Parla al cuore della realtà e degli uomini. Non enuncia criteri generali e astratti, ma giudica il presente e nella sua voce esprime, dinanzi a fatti e pericoli, la saggezza della Chiesa e la sapienza che nasce dalla conoscenza dell’uomo che solo Cristo ha.
Per questo, se papa Francesco dice “no alla guerra, a questa guerra” e chiama al digiuno, ciascun uomo deve fare i conti con questo invito. Sia una casalinga o un vecchio steso nel suo letto o un ministro della Repubblica. O un ribelle che è convinto di mobilitarsi per la libertà con il mitra in mano, oppure un ufficiale di Assad. Ciascuno di costoro, dicendo di sì o di no al digiuno ha preso posizione, ha riconosciuto che noi da soli non sappiamo costruire un bel niente. Per questo ciascun uomo – anche non credente – in nome del grande forse, e di una lealtà verso se stessi, può deporre come offerta e come sacrificio la rinuncia a un po’ di cibo, e una domanda all’Altissimo. Perché noi uomini è una vita, anzi sono migliaia di generazioni che sappiamo solo fare guerre, e queste guerre ne generano altre. Tanto più in questo tempo dove non esiste più un uso proporzionato della forza delle armi, perché esse sono sempre sproporzionate e immani.
Credenti o no, cattolici o musulmani o più probabilmente agnostici (sono oggi dominanti in Occidente) hanno aderito.
Gad Lerner e anche Giuliano Ferrara hanno attaccato con crudo linguaggio i ministri italiani che hanno aderito, quasi fosse uno scarico della loro responsabilità. La Chiesa ha diritto alla sua espressione pubblica, ma la politica è la politica, le scelte appartengono a un’altra sfera.
Invece proprio essere responsabili impone di inchinarsi alla sorgente della verità e del bene che il papa indica proponendo preghiera e digiuno. Giovanni Paolo II disse il 4 ottobre del 1986 a Lione, annunciando la giornata di Assisi dove invitò uomini di ogni religione “insieme per pregare”: “Credo alla potenza spirituale dei segni”. Non è tolta la responsabilità dei governanti, ma quel segno (il silenzio, il digiuno, il grido a Dio) non graffia la cipria delle anime, ma ci ricorda chi siamo, il nostro dramma di uomini.
Il discorso più triste del mondo è questo: il Papa fa il Papa. Che cosa volevate che dicesse? Logico che parli per la pace. Dice più o meno così anche il teologo e filosofo cattolico Novak. Il quale è paradossalmente contro questo intervento di Obama, ma ritiene invece molto utile in certi casi la guerra.
Questa banalizzazione del successore di Pietro, la sua riduzione a voce bella e pura, ma in fondo da sigillare nel reparto dove stanno le cose eterne e perciò intemporali, è il contrario della essenza stessa del cristianesimo, che è una persona di carne, sangue, anima, una persona divina che si è fatta uomo, Gesù Cristo, e che si è fatto uccidere per salvarci. In quel suo sangue e carne, in quel suo patimento e nella sua resurrezione, storici e reali, sta la radice della potenza spirituale della fede. Lo spirituale, beninteso è reale, e lo spirito è la forma del mondo e delle cose, è l’energia che dà ordine al creato.
Una fede che massaggi e tormenti la coscienza ma non sia dentro la vita, che fede è? Una roba da pattumiera esistenziale. Abbiamo bisogno, noi che siamo in questo mondo pecore senza pastore, trascinati qua e là da capipopolo e dalla stanchezza, di una testimonianza di pace credibile, che passi anche in mezzo alle periferie esistenziali. Della profezia di un Papa che sia così vera da essere uno scalpello che modella la vita e fa sì che acquisti il colore del bene e di ciò che è umano.
Questo è quello che abbiamo visto, distratti o anche solo per un secondo attenti, nel volto di quest’uomo vestito di bianco. Ed è davvero triste vedere come si tratti la sua voce situandola sopra le nuvole, e dunque incensata con molto rispetto e altrettanta indifferenza, solo perché stavolta un Papa parla contro una guerra “progressista” (quella di Obama). Forse per questo il movimento pacifista tace?