Le notizie di ieri sono due. 1) La determinazione di Obama di battere un colpo, fosse pure un colpo che sconquassa il mondo. Prende tempo ma è deciso. Vuole associare alla sua decisione più Stati più opinione pubblica possibile. 2) La saggezza della Chiesa che ha parlato all’Angelus con la voce di Papa Francesco. Non aveva accento polacco ma argentino, eppure il grido nuovo e antico non abbandona lo spartito della ragione e della verità sull’uomo. “Mai più guerra. La guerra chiama guerra”. Il metodo per uscire dai conflitti: dialogo, incontro, negoziato. Gli uomini però sono un disastro di fragilità, da soli gli uomini non sono capaci. Senza Dio non se ne esce. Ecco allora la strada del “digiuno e della preghiera”, un giorno in cui chiedere insieme qualcosa che sembra impossibile: la pace. La chieda anche chi non crede, gli “uomini di buona volontà”. Sabato prossimo il mondo intero sia coinvolto in questo gesto. Ah, dimenticavo un’altra notizia. 3) La guerra in Siria, lo scontro tra sciiti e sunniti dove muoiono tutti, ma specialmente gli inermi, e tra gli inermi specialmente i cristiani, continua.
I dilemmi sono quelli di cui sopra. Entrambi nascono dalla pretesa di condividere il grido degli innocenti. Mi permetto di tradurli così. Obama & C.: la volontà di potenza, la pretesa di aver ragione avendo dalla propria parte la certezza di essere nel giusto, le armi per guidare la storia, la volontà di farlo. Francesco & C.: l’intervento della comunità internazionale protesa alla soluzione pacifica, facendo leva su altri mezzi che non siano quelli di guerra. Sappiamo che quest’ultima posizione può essere confusa con il pacifismo inerte di chi dice: non mi disturbi nessuno, resto nel mio orto. In realtà essa suppone l’alleanza con chi, dentro le situazioni di conflitto, ragiona per amore del proprio popolo. E non vuole assolutamente l’intervento armato. Le dichiarazioni dei patriarchi cristiani si susseguono (e poi ne citerò alcune). Soprattutto l’impeto pacificatore a costo di tirare missili deve fare i conti con l’esperienza e i risultati del passato anche recentissimo.
E’ necessario partire da un’osservazione sul casus belli. Bombardare la Siria per punire l’uso di armi chimiche è difficile da bersi stavolta, anche per le anime più filoameriane dell’universo. Troppo ripetitiva è la tecnica del caso estremo per essere credibile. Barak Obama invoca il “superamento della linea rossa” come ragione morale obbligante a premere il bottone WAR; e che chissà perché quella linea viene sempre oltrepassata con precisione cronometrica proprio da quello che sin dall’inizio era stato bollato come “il più cattivo” per giustificare una scelta di campo già decisa a priori per altre ragioni che non c’entrano un tubo con la giustizia. Quali ragioni? Quelle della supremazia e degli interessi degli Stati Uniti. Interessi legittimi e che spesso hanno coinciso con la causa della libertà e della civiltà, ma che sono scivolate lungo la china del puro dominio.
C’è una cartina di tornasole: il rispetto per la libertà religiosa non in termini teorici ma reali. Per questo quello che si gioca oggi in Medio Oriente è insieme simile e però più pericoloso di quanto accadde nel 2003 ad opera dai medesimi Stati Uniti d’America nei confronti dell’Iraq. La volontà sicuramente in buona fede di imporre la democrazia è stata una sorta di ybris, di empietà. La pretesa di incanalare il senso religioso secondo schemi da delirio di potenza. Così si è stabilito che il potere in Iraq dovesse passare dai sunniti (che lì davano libertà ai cristiani) agli sciiti.
Gli sciiti preferiscono l’Iran agli americani. Ecco che gli americani premiano allora i sunniti, dove però diviene egemonica Al Qaeda. Così, lo stesso disegno vuole abbattere un Gheddafi troppo amico degli italiani, e troppo nemico degli interessi dei sunniti del Golfo. Lo stesso ora in Siria. Così il Medio Oriente è diventato un gigantesco scacchiere dove si fronteggiano sunniti (appoggiati da Turchia, Arabia, Qatar e in parte Israele) e sciiti (gli alawiti di Assad sono più vicini e comunque alleati di Ezbollah e Iran). Il risultato è l’espulsione o l’assassinio dei cristiani, non difesi da nessuno, tantomeno da un’America e dagli alleati occidentali (tranne, bisogna dirlo, l’Italia con l’opera di Frattini accompaganta a livello europeo da Mario Mauro). Per questo occorre la buona volontà degli uomini e soprattutto un aiuto di Dio, che non è un orpello pietistico ma il cuore della speranza.
Come promesso ecco un paio di citazioni. La prima è del Patriarca latino di Gerusalemme Fouad Twal, già arcivescovo di Tunisi di cui – se è consentito dirlo – mi onoro dell’amicizia. In un comunicato scrive: “Si assiste qui ad una logica che ricorda la preparazione della guerra in Iraq nel 2003: non si deve ripetere quella ‘commedia delle armi di distruzione di massa in Iraq’, quando in realtà non ce ne erano. I nostri amici dell’Occidente e degli Stati Uniti non sono stati attaccati dalla Siria. Chi li ha nominati polizia della democrazia in Medio Oriente? C’è bisogno di aumentare il numero dei morti oltre i 100mila? E’ necessario ascoltare tutte queste anime che vivono in Siria e che gridano il loro dolore che dura da più di due anni e mezzo. Hanno pensato alle mamme, ai bambini, agli innocenti?”.
Il Patriarca dei Maroniti, il cardinale Béchara Boutros Raï, da Beirut accusa, intervistato da Giuseppe Rusconi. Sarebbe auspicabile oggi un intervento militare internazionale in Siria, analogamente a quello fatto nel 2003 contro l’Iraq da parte di una coalizione guidata dagli Stati Uniti? Assolutamente no. Sarebbe invece auspicabile che queste grandi potenze cerchino di non mandare armi per stimolare e infiammare le guerre e contribuire al versamento di altre sangue; piuttosto usino il loro peso politico per trovare soluzioni pacifiche che risparmino vittime e distruzioni.
Sarebbe auspicabile che tutte le grandi potenze aiutino i Paesi in difficoltà a trovare soluzioni pacifiche ai loro conflitti con il dialogo e i negoziati politici, invece di preparare interventi militari che non fanno altro che incrementare l’odio dei popoli verso tali grandi potenze, come è stato il caso dell’Iraq, dove abbiamo perso un milione di cristiani su un milione e mezzo. L’Iraq oggi è in balia del conflitto tra sunniti e sciiti. Quali frutti fin qui ha portato la cosiddetta Primavera araba ai cristiani del Medio Oriente?
Per ora questa primavera è stata solo un inverno e una notte senza alba, non solo per i cristiani ma anche per tutti quanti. Senza dubbio i cristiani continuano a pagare il prezzo più alto: basta vedere ciò che è successo poche settimane fa in Egitto (incendi di chiese, massacri di cristiani, sfollamento ed esodi forzati) e l’identico fenomeno è accaduto in Iraq e continua a succedere ora anche in Siria e altrove. Il Medio Oriente che era la culla del cristianesimo si sta svuotando massicciamente di cristiani, tra tante sofferenze e spesso non senza versamento di sangue. Per questo l’invito più laico e razionale del mondo è quello di ascoltare il Papa e di dar retta al senso religioso che non è una pia attitudine ma l’energia delle coscienze oneste.