La Serbia è travolta da un’alluvione come non ce n’erano da 120 anni. Non è bene scrivere il numero dei morti e dei dispersi: si sbaglia. Sono centinaia, e i bilanci sono sempre provvisori perché la tragedia è ancora in corso. Chi è stato vittima, e l’ha scampata per un pelo, o è stato testimone della forza spaventosa dell’acqua, sa che è peggio del fuoco, peggio del terremoto, perché l’onda ti rincorre, e sembra impossibile che quella sorella così utile e buona improvvisamente si trasformi nella bestia dell’Apocalisse. Eppure da cronista ho visto ad Alessandria nel 1994 il fiume impazzito, e resta dentro il grido delle persone sugli alberi e poi trascinate via. Scrivo questo per introdurre a un dolore immenso, che io vorrei comunicarvi.
Perché i serbi sono stati solo 15 anni fa nostri nemici, li abbiamo bombardati con i nostri aerei per ragioni umanitarie. Poi la storia ha mostrato che in Kosovo non stavano accadendo affatto le stragi denunciate da osservatori interessati a piazzare uno Stato islamico, piattaforma della mafia, nel cuore dell’Europa. Le elezioni europee, per una specie di beffa, sottraggono attenzione e distraggono dalla solidarietà a questo popolo che vuole entrare nell’Unione europea, ma non c’è ancora. Migliaia di persone costrette a lasciare le proprie case. Di solito si dice: dignità, pazienza, durezza dinanzi alle tragedie. Ma in Serbia di più. I serbi di più. Il Danubio, il fiume romantico per eccellenza, tra i più suggestivi fiumi di Europa, i cui ponti contribuimmo a distruggere nel 1999, è oggi un pericolo, così come lo sono gli altri due grandi fiumi del paese, Drina e Sava. Sono gonfi d’acqua, pronti alla piena.
Non è ancora finita. Un’altra emergenza è quella delle centrali a carbone: sono migliaia i volontari e i soldati impegnati a costruire barriere con sacchi di sabbia attorno a Kostolac, dove si trova il cuore energetico del Paese. Sono due le grandi centrali termiche assediate dalle acque – la Nikola Tesla sulla Sava presso Obrenovac, che produce il 50% dell’energia elettrica di tutta la Serbia, e quella di Kostolac, sul Danubio, a est della capitale. La fornitura di energia anche nelle città più grandi è a rischio. E ritorna anche un incubo: le mine, ordigni inesplosi, sepolti durante la guerra, stanno riemergendo dal fango, in Serbia come in Bosnia. I campi minati sono stati travolti e cancellati dall’acqua, le mine finiranno chissà dove…
Dopo la orribile guerra di Bosnia, figlia dell’educazione comunista, e quella del Kosovo, la Serbia ha consegnato ai Tribunali dell’Aja i ricercati per crimini in Bosnia, ha intrapreso un rapido sviluppo economico, una partnership stretta con l’Italia, la richiesta di entrare nell’Unione Europea.
Molte nostre imprese hanno messo le tende in Serbia. I serbi ci tengono a spiegare: da noi non si de localizza, si internazionalizza. Senza la fabbrica Fiat in Serbia, non lavorerebbero le ditte che producono i motori e altre componenti poi montate lì. L’Italia sono i primi partner commerciali, sia in export che in import, di Belgrado.
La cultura italiana è amatissima. La civiltà cristiana ortodossa incide ancora nella vita delle famiglie. Come si è capito ne sto parlando con affetto personale, come qualcosa di famiglia. Il fatto è – si scuserà l’inciso personale – per novanta giorni a Belgrado, da cronista, ma ho visto i missili corrermi sulla testa, sperando che cascassero più in là, magari a colpire una fabbrica o a cadere nel Danubio, ma non dove stavo io. Trascrivo dal mio quaderno un appunto di quando attraversai il confine tra Croazia e Serbia e fui trattato, giustamente, da nemico. Eppure era chiaro a me e all’ufficiale gigantesco che mi aveva esaminato, fermato, rinchiuso, sequestrati i miei quaderni: non eravamo nati per odiarci. “Perché mai dovevamo odiarci io e questo signor capitano o colonnello serbo? Nella realtà è impossibile guardare uno che non hai mai visto proprio negli occhi e decidere che quello viene da te per uccidere te e la tua famiglia. Invece no: è la realtà della guerra. La guerra uccide i bambini e gli innocenti, ma un attimo prima di versare sangue, essa distrugge quel legame imponderabile e fortissimo per cui tu e io, che non ci siamo mai visti, parliamo lingue diverse, però sappiamo di essere fratelli. Che magari si stanno un po’ sulle scatole, o si guardano con indifferenza, come capita nei migliori ambienti. Però fratelli. In guerra no. Anzi, mi correggo. Ti viene in mente che a casa tutti ti vogliono (più o meno) bene. Vorresti farlo sapere. Invece, chissà perché, in uno strampalato rigurgito di dignità, l’unica cosa che ho nascosto, e ce l’ho fatta, è stato il pacchetto di fotografie delle persone che amo”.
Ancora: “Questo è accaduto per tre ore, dalle quattro alle sette del pomeriggio di un venerdì santo (ortodosso) di possente bellezza, pochi metri dentro la Serbia, a Sid. L’immensa pianura pannonica, percorsa dal Danubio, pareva l’Eden. I ciliegi e i peschi in fiore, tutt’intorno, sembravano essere stati pettinati un attimo prima dagli angeli. Un roseo albicocco faceva la sentinella disarmata a un mondo fanciullo di Pasque lontane. Ma la guerra è orribile. Essa penetra, oltre che nelle viscere di chi muore, dentro il cuore di chi non sa chi morirà e come potrà vivere dopo questo”.
Dopo questo (“questo” è stata una guerra, con alcune migliaia di morti, e oggi ancora ne cadono vittima di leucemia causata dall’uranio impoverito di cui erano ricche le bombe); dopo questo c’è il riconoscimento della comune umanità, si può vivere concretamente la fraternità, perché siamo fatti per questo.
PS. L’ambasciatore della Repubblica Serba a Roma, dottoressa Ana Hrustanovica, ha lanciato un appello. Chiede aiuto. Per salvare le vite umane e risanare i danni, c’è bisogno di tutto, ad esempio medicinali, indumenti, prodotti per disinfezione. Si possono portare direttamente all’ambasciata a Roma, o ai consolati di Trieste e di Milano. Per informazioni più precise www.roma.mfa.gov.rs .