Julian Assange è geniale su un punto: a ingigantire il suo mito. Non è un giudizio morale, ma tecnico. È bravissimo. Ha trasformato il furto di documenti e le intercettazioni di conversazioni private (ci sono anche intercettazioni) in atti di eroismo. Invece di essere Anonimo è diventato il collettore di Anonimi, che magari rischiano davvero in proprio svuotando i cassetti elettronici di uffici riservati, e godendo lui al loro posto del sole della pubblicità. E l’opinione pubblica mondiale è sempre pronta a soccorrerlo, a compatirlo, a proporlo per il Nobel della pace.

In breve la sua storia è fatta coincidere con quella di Wikileaks, un’organizzazione che si propone di purificare il mondo dall’oscurità rendendo noto tutto quel che costituisce il sottofondo di notizie su cui si basa l’azione diplomatica e la politica estera delle potenze. Ha diffuso finora 251mila documenti riservati o meno, segretissimi o di scarso peso, depositati nella pancia di uno Stato che si chiama Usa. Nel 2010 in coincidenza temporale con l’esplosione di questa bomba di carte e di file, è stato accusato di reati sessuali che sarebbero stati commessi ai danni di due donne in Svezia. Da cui la richiesta di estradizione presentata dalle autorità di Stoccolma al Regno Unito dove si trovava. È finito in carcere per questo, e una volta libero sulla parola si è rifugiato (due anni fa) nell’ambasciata dell’Ecuador a Londra, dove ha chiesto e ottenuto lo status di rifugiato politico.

Nella conferenza stampa di oggi ha fatto sapere di avere la “valigia pronta”. È stufo di stare in una prigione dorata, dove non può fare attività fisica e godere di una passeggiata in un parco, questo nuoce alla sua salute di 43enne. Dichiara che le accuse di molestie e violenze delle donne svedesi contro di lui sono false, e sono un pretesto perché poi la Svezia, a cui il governo britannico lo consegnerebbe, lo trasferisca in catene nelle mani dell’Fbi, e della giustizia americana che lo condannerebbe all’ergastolo.

Alcune osservazioni.

1. Può essere che sinceramente Assange voglia rivelare al mondo, come Manzoni ritenne di Machiavelli, «di che lacrime grondi e di che sangue, lo scettro ai reggitori». Dunque far conoscere le brutture per sradicarle. Ottimo.

2. Un combattente per una causa civile è costretto talvolta a infrangere la legge in nome di un bene più grande. Gandhi ne è un esempio. Ma poi infranta la legalità, si sottomette alla legge, accetta il giudizio del giudice, convinto che questo sacrificio personale farà saltare alla lunga il meccanismo dell’ingiustizia. Pagare per la verità è ciò che muta le cose.

3. Assange invece che fa? Non ha nessuna intenzione di sottomettersi alla legge, né a quella britannica, né a quella svedese, né tanto meno a quella americana. Accetta solo la legge dell’opinione pubblica, la quale attraverso stampa, tivù, intellettuali, web eccetera sta con lui.

4. Non è Davide Assange contro Golia Obama. Oggi Assange incarna semplicemente un Potere simile e diverso, a sua volta connesso a immensi tesori della finanza e a macchine di tortura delle coscienze, ed è quello che definirei con l’acronimo di Noo, cioè Nichilismo Organizzato dell’Occidente. Il quale impone come imperativo etico all’Occidente di autodistruggersi se vuole redimersi, consegnando se stesso al Nemico.

5. Assange non è il diavolo, non lo è neanche Obama. Diabolico è il vuoto spirituale, l’assoluta volontà di non sacrificarsi per nulla e nessuno, che rende Assange così vicino al tipo perfetto di occidentale che apre le porte al Califfato islamico, il quale se permettete piuttosto diabolico è, e non saranno due fucili curdi che gli faranno paura.