Ciascuno vede nell’altro quello che il proprio cuore desidera. Così gli sceneggiatori del film su Oriana Fallaci che ha avuto un gran successo su Rai Uno. Per non dividere, invece che sui contenuti, gli autori e il regista hanno insistito sul temperamento, sul fascino indomito di questa grande giornalista.
Nulla da dire. Io l’ho conosciuta diversa. La sua scrittura martellata, come un’onda sugli scogli, somigliava al suo sguardo. Ma il suo sguardo vedeva la realtà. E ne dava testimonianza in maniera sorprendentemente diversa rispetto al pensiero dominante (salvo forse la prima fase, quella del Vietnam).
Ho in mente i suoi bellissimi libri, in particolare Lettera a un bambino mai nato che, negli anni Settanta, quando tutti proclamavano l’aborto come diritto civile — una cosa orrenda — lei invece proclamò come, quell’essere, dopo un secondo, dopo un centesimo di secondo, un istante, era un essere umano, scoccava dentro di lei come scintilla di una vita unica. Poi l’ho conosciuta anche attraverso quello che mi aveva detto di lei Vittorio Feltri, il mio direttore. Scrissi dei suoi interventi dopo l’11 settembre. E a un certo punto mi telefonò.
Non diciamo che mi aspettassi un complimento, ma quasi. Quando sentii la sua voce, e lei che disse di essere la signora Fallaci, restai incantato. Mi insultò pesantemente, perché su Libero era uscito un articolo in cui si faceva un gioco di parole con il suo cognome, del tipo: “Le fallaci opinioni di Oriana”, di un filosofo che in un contraddittorio con me aveva espresso questa tesi. Ma lei, fulmini e saette. Guai a toccarle le sue radici, la sua fonte, il suo cognome! Perché lei si identificava totalmente con la sua stirpe, ciò che le aveva dato l’essere, la sua cultura, la sua cultura cristiana, pur non riuscendo a credere: si dichiarava atea, ma cristiana nel profondo.
Dopo di che rimase sorpresa, credo, dalla mia mansuetudine, perché fui così colpito dal fatto che io avessi potuto involontariamente offenderla, che le chiesi scusa. Da quel momento cominciò a telefonarmi e finalmente mi invitò un sabato sera nella sua casa di Milano. La casa della sorella. Vigilata da dei carabinieri in borghese, perché nessuno doveva sapere che lei abitava in quella casa, che fosse a Milano, perché correva rischi. Salii a casa sua e fui travolto da questa persona, che era uno scricciolo, un usignolo. Uno non se lo immagina guardando le foto, che potesse essere così minuta. Con i capelli neri, con la sigaretta in bocca. Squisita, dolcissima e rude nello stesso tempo.
E parlammo di tutto. Parlammo per cinque, sei ore. Non solo dell’islam, ma anche della fede. Lei volle sapere tutto di Ratzinger. Eravamo nel 2004 e Ratzinger era ancora cardinale. Volle sapere di Papa Wojtyla, di Feltri, che fra l’altro era un suo vecchio amico, ma con il quale questionava di frequente. E si parlò anche molto della persona di Gesù Cristo. Questo ci tengo a dirlo, perché questa Persona la colpiva. La colpiva sin dalla sua infanzia. E quando incontrava una persona di cui potesse fidarsi, che non fosse per lei un nemico, un “traditore della patria”, che però avesse — secondo lei — una qualche confidenza con questo Gesù, lo inondava delle sue domande e delle sue obiezioni, della sua ira contro la Chiesa che — secondo lei — nascondeva il vero volto di Gesù.
Oriana Fallaci è stata la donna che più ha incarnato la solitudine della nostra epoca. Per cui le persone più sensibili e che non hanno avuto la fortuna di essere accolte nel grembo di una comunità cristiana, nel grembo di una amicizia cristiana, si sono trovate sbattute contro un mondo che aveva tradito gli ideali di libertà su cui diceva di essersi formato. E Oriana allora non ha mai smesso di cercare, mai, mai, mai! Guardate, se uno legge i suoi libri vede anche, nel modo come lei mette in fila le parole, la forza straordinaria della sua passione e della sua umiltà. Perché uno che cerca è umile. Perché uno che cerca sa che non sta in lui il vero, il bene, la salvezza dell’umanità. Uno non può redimere il mondo e autoredimere se stesso. E allora è umile. E lei, la cosa che sapeva fare meglio era aprire gli occhi sulla realtà e scriverla.
Allora lei per scrivere una pagina, pur essendo velocissima a scrivere, ci metteva un giorno, perché rileggeva, cercava la parola, la limava. Perché, come tutti gli artigiani che amano il loro lavoro, non voleva sciupare la realtà. Non voleva cesellare male quello che non era suo, ma era il dolore del mondo. In questa ricerca la sua domanda su Dio restava senza risposta. O se dava una risposta — io glielo dissi — era molto banale, indegna di lei, del tipo che “l’uomo ha fatto Dio a sua immagine e somiglianza”, roba così. Poi però la figura di Ratzinger l’ha travolta, l’ha indotta a domandare a chi era vicino a lui da dove venisse questa intelligenza potente che diceva le cose più vere di tutte, sul mondo. Insomma, lei che era atea, doveva essere d’accordo con un cristiano, e non solo un cristiano “normale”, ma il capo della Chiesa. Per questo prima chiese a me, poi a monsignor Rino Fisichella di cui divenne grande amica e che la portò dal Papa.
Non dimentichiamoci che Oriana Fallaci l’ultima grande battaglia che ha fatto, oltre a quella contro l’islam fondamentalista e l’invasione islamica, l’Europa che era diventata ormai terra di conquista, la sua grande battaglia è stata contro quello che Papa Ratzinger ha chiamato il “nichilismo contemporaneo”, cioè l’odio dell’Occidente contro se stesso, che portava a identificare la libertà con la licenza, con il credere di fare ciò che pare e piace. Mentre lei sosteneva che la libertà è prima di tutto un dovere, e dopo è un diritto.
E guai a chi lo toccava, il suo papa Ratzinger! Non ha buttato addosso al Papa e a Fisichella il suo dolore. Perché — diceva — l’uomo non chiede di non soffrire, l’uomo chiede di non morire! Perché il nemico dell’umanità non è il dolore, ma il nulla! E questa è una grandissima verità della cultura cristiana. Per questo lei si proclamava cristiana. Diceva: “Si, io sono cristiana!”. Lei — lo racconterà — si è fatta regalare il cd delle campane su Santa Maria del Fiore, prima di morire. E ha desiderato con tutto il cuore che il suo funerale fosse accompagnato — anche se è stato un funerale civile (lei non ha voluto i funerali cattolici, non per disprezzo, ma in qualche modo per lealtà verso se stessa) dal suono delle campane della cattedrale della sua Firenze. E le campane, come sappiamo, sono un sacramentale. Perciò, voler le campane, vuol dire qualcosa che somiglia a un sacramento. Chi ama il suono delle campane — secondo me — è un cristiano.
Ecco, questo è stata ed è per me la signora Fallaci. Sono anche andato a trovarla al cimitero degli Allori a Firenze. Ho posato sotto gli stessi sassi dove riposa una immaginetta di don Giussani.