Quando l’orrore del delitto si trasforma in accusa allo Stato, e il contesto spinge a reazioni violente, guai a chi fomenta la ribellione contro lo Stato e contro la massa dei profughi; ma guai anche alla letargia dei governanti che non vedono, non sentono, non alleviano il disagio sociale.

Insomma, bisogna distinguere, applicare la ragione, non farsi prendere dall’emotività. Vale sempre. Ma quando intorno c’è la polveriera della paura questo criterio deve assolutamente prevalere. Bisogna impedire che divampi l’incendio bruciando torti e ragioni in un rogo dove rischia di soccombere qualsiasi forma di convivenza ordinata.



Veniamo ai fatti e alle reazioni suscitate.

La figlia sventurata di due poveri pensionati (sgozzato l’uno, gettata dal balcone l’altra, a Palagonia) urla “anche” contro lo Stato. Dice: “È anche colpa dello Stato”. Questa la voce del dolore che si alza dalla scena di un crimine. Notiamo. Non ha accenti di vendetta contro il delinquente. Non propone pogrom di immigrati. Punta il dito in alto e non su una categoria di disgraziati.



La ragione è che l’assassino (presunto) dei due coniugi di Palagonia è un ragazzotto ospite del Centro di accoglienza di Mineo. Non è un profugo. È con ogni evidenza un clandestino senza alcun diritto di entrare e restare in Italia senza visto: viene infatti dalla Costa d’Avorio dove le turbolenze e lo stato dei diritti umani non giustifica richieste d’asilo.

Perché la giovane donna resa orfana ha ragione? Lo Stato doveva fare modo che un clandestino illegale non circolasse libero di ammazzare, ma prevalesse la legge che impone il rientro in patria. È il patto che il cittadino fa con lo Stato: rinuncio all’uso della forza e la concedo allo Stato, pago le tasse perché garantisca per quanto possibile sicurezza e ordine.



Che cosa sta succedendo invece? Lo Stato – e fa bene, benissimo – salva dal mare i migranti, li afferra per i capelli perché non anneghino, ma poi li abbandona al bordo della piscina, senza occuparsi realmente né di loro né del contesto umano impreparato a questa presenza.

C’è un’omissione chiara. Ma è imperdonabile gettare benzina sul fuoco del disagio, di fatto provando a trasformare la paura in rabbia.

Occorre che le forze politiche e sociali prendano sul serio questo stato di cose, dove gli appelli morali ormai suonano falsi, con proposte realistiche di umanitarismo efficiente. La Sicilia in particolare sta facendo uno sforzo immenso di accoglienza: è il primo punto d’approdo sognato da milioni di essere umani. Che tra le migliaia e migliaia ospitati ci siano assassini è statisticamente comprensibile. È incomprensibile che l’Europa ci abbia finora lasciati soli non solo nel salvataggio, ma nella gestione di un fenomeno che per la sua intensità eversiva della vita di tante comunità di confine, rischia di causare un’esplosione sociale.

Che altro dire? 1. la responsabilità di un delitto è sempre personale; 2. nessuno invochi la disperazione per giustificare la rapina e l’omicidio; 3. colpevole non è la categoria dei profughi e dei clandestini: nessuno li faccia passere per una massa di poco di buono; 4. si attuino in fretta procedure efficaci e rapide di identificazione e accoglienza (quando giustificata) o respingimento; 5. lo Stato e l’Europa sostengano le comunità più provate dai nuovi arrivi, e diano risorse e strutture a chi vuol dare testimonianza di operosa fraternità.