Scrive l’Ansa, con il tono di chi recita le tavole della legge portate al popolo da Mosè dopo che Dio stesso le ha incise con il proprio dito: “Le leggi che limitano l’accesso ai servizi per la salute sessuale e riproduttiva, compresa la contraccezione e l’aborto, in violazione delle norme internazionali «devono essere abrogate e la difesa dei diritti umani delle donne è essenziale» nella risposta all’ emergenza sanitaria provocata dal virus Zika. Lo ha affermato oggi l’Alto commissario delle Nazioni Unite per i diritti umani, Zeid Ra’ad Al Hussein”.
Così una malattia è trattata non come un fenomeno di cui debellare il virus, ma come un’opportunità per affermare il diritto umano all’aborto, eretto a diritto fondamentale dal massimo tutore dei medesimi.
Chi scrive qui non ha competenza scientifica sullo Zika. Non so dire quanto e quale sia il rischio che le donne incinte possano contrarre la malattia e che questo determini malformazioni nel feto. Anche se ci fosse un rischio statistico pauroso, l’aborto credo sia comunque, come dice il concilio Vaticano II nella Gaudium et Spes, “crimine abominevole”. E soprattutto sono certo sia un bene irrinunciabile qualunque creatura umana sia stata concepita.
Non è una mia idea fanatica. Francesco condannando la “cultura dello scarto” dominante nel mondo, ha detto: “Ogni bambino non nato, ma condannato ingiustamente a essere abortito ha il volto del Signore, che prima ancora di nascere, e poi appena nato ha sperimentato il rifiuto del mondo”. Ogni. In realtà si tratta di aborto eugenetico, tendente a eliminare anche solo la possibilità che possa nascere un piccolo con un qualsiasi difetto. E questo sarebbe l’Onu dei diritti umani. Questo non significa — è ovvio — l’irresponsabilità. Esiste la paternità responsabile, ed è un dovere. Il principio di precauzione serve a tutelare la vita, non come pretesto per desertificarla.
Esiste un precedente di cui siamo testimoni noi abitanti della Brianza sud, zona di Seveso. Nel 1976, il 10 luglio, ci fu il disastro ecologico della diossina. Fu con abilità fatta circolare la certezza scientifica che i figli che sarebbero nati nella vasta zona contaminata (mezzo milione di abitanti) avrebbero avuto malformazioni spaventose. Un’importante medico ed ecologo, Laura Conti, consigliera regionale del Partito comunista italiano, scrisse immediatamente un romanzo intitolato: “Una lepre con la testa di bambina”. Chiaro, no? Intanto presidi femministi agitavano il cartello fuori dalle parrocchie e dagli ospedali: “O aborto o un mostro in pancia”. Un famoso professore giurista della scuola di Torino, Nicola Adelfi, propose sulla Stampa l'”aborto coattivo” per impedire la nascita di creature malformate e togliere così problemi di coscienza alle donne. Il cardinal Giovanni Colombo lanciò, in questo clima, l’idea misericordiosa di un’adozione certa raccogliendo un elenco gremito di famiglie disponibili, come alternativa, e fu trattato come un povero vecchio oscurantista dalle luminose pagine del Corriere della Sera, grazie alla penna di Umberto Eco.
Il ministro della Sanità, dinanzi a queste pressioni, cedette, diede il consenso all’aborto libero in quell’area. In 30 si sottoposero ad aborto volontario. Non uno di quei piccini aveva alcuna malattia o difetto. La famosa scienza non aveva capito niente. Diventò ideologia scientifica dell’omicidio preventivo, per seminare comunque il mondo con un precedente. Nessuno sui giornali che avevano di fatto imposto l’aborto riportò la notizia di quella inutile strage (Che sarebbe stata strage inumana comunque, sia chiaro).
Non mi illudo, non ci saranno proteste culturalmente indignate di alcun organo che abbia scritto sulla porta “diritti umani”. Ci dovrebbe essere anche il diritto umano delle creature più deboli e indifese, malate o no che siano, di ricevere misericordia, una carezza. Ricordiamoci, parafrasando il Vangelo, di un monito: chi scarta, sarà scartato.