E’ stato strano il rapporto di Marco Pannella con Dio. Non riuscendo a parlarci personalmente (così credeva lui) cercava ostinatamente di avere un dialogo con i suoi rappresentanti in terra: i Papi, i cardinali, ma anche il Dalai Lama. Tutto ciò che aveva profumo di qualcosa che andasse oltre l’istante, che si ancorasse all’eterno, Marco vi si spiaccicava addosso, per una attrazione irresistibile. 

Per questo mi è sempre parso incredibile che non riconoscesse un alito di vita individuale, unica, pienamente adorabile, nel bambino non ancora nato. Lo considerava — testuale — “meno di in foruncolo”. Invano interloquii con lui, in un dibattito pubblico, dandogli del “vecchio embrione”, niente da fare. Ora ne conoscerà un sacco, e spero che, conosciuta la verità, ora con la sua loquela da zingaro petulante, appaia in qualche congresso radicale o meglio in mondovisione per annunciare la sua scoperta post-mortem.

L’ho conosciuto molto bene. Mi domando però: chi non l’ha conosciuto? Era senza filtri, gli parlavano tutti. Riusciva a farsi ascoltare da tutti. Aveva un candore che si spandeva dai suoi occhi color myosotis.

Mi domando: chi ora si occuperà dei carcerati? Nessuno lo ha fatto come lui. Di certo sono quelli che ci rimetteranno di più. Già vivono in condizioni atroci — la più parte almeno — ora non avranno più la loro tromba dello Spirito Santo. Più di Pannella certo altri sconosciuti cappellani e suore, ma anche direttori e agenti di polizia penitenziaria, hanno dato e stanno dando tutto il tempo della loro vita praticando la sesta opera di misericordia corporale (“visitare i carcerati”), Marco Pannella però era l’ambasciatore permanente presso il potere e l’opinione pubblica delle loro pene (in tutti i sensi).

Ci sono versioni contrastanti sul primo sciopero della fame di Marco Pannella.

Secondo Filippo Ceccarelli l’esordio del Grande Digiunatore è stato a Praga, nel 1968: finché i carri armati sovietici non se ne fossero andati. Non se ne andarono, ma il gesto fu importante, Marco prese botte, fu incarcerato ed espulso. Il medesimo Pannella però corresse e anticipò il debutto a Parigi: “Il primo fu contro la guerra d’Algeria, sugli Champs-Elysées, in tandem con un anarchico francese. Credo fosse il 1961”.

Pannella ha sempre avuto la teatralità leale di chi gioca le partite del diritto universale e personale. Sbagliando spesso, secondo me, ma roba grande.

Scrivo alcune delle battaglie condotte brandendo l’arma del digiuno.

Nel 1969 sciopera per la legge sul divorzio (due volte). Poi per la liberazione di Valpreda, quindi per la legge sull’obiezione di coscienza (’72). Per alcuni detenuti in attesa di giudizio (’73). Durante la campagna per il referendum sul divorzio, ma anche dopo, protesta contro la cattiva informazione Rai (’74) riparare all’esclusione con la concessione di una trasmissione speciale. Nel 1975 lo sciopero della fame è per la legge sull’aborto. Poi roba varia. Un paio di digiuni sempre contro la Rai. Indi il missionario va in Spagna per la scarcerazione degli obiettori di coscienza in carcere e per il riconoscimento giuridico del diritto all’obiezione di coscienza (’77). 1978 per l’amnistia in Italia. 

Nel 1979 contro la fame nel mondo. Il più importante e forte a mio giudizio. Tre mesi e Pannella è uno scheletro. Altro che finzioni.Tra il 1981 e il 1983 ne condurrà altri quattro sempre con questo tema. Nel 1996 contro il Polo delle libertà per supposto mancato rispetto accordi. Poi sempre più spesso per chiedere amnistia e condizioni di vita vivibili in carcere. Con il tempo i giornali non ne parlavano più, dei suoi digiuni. Ci si erano abituati.

Ora con la sua morte abbiamo perso tutti qualcosa di importante. Dietro le sue argomentazioni non si coglieva la voglia di dibattito, ma di battito. Come scrisse Giovanni Testori, “più battiti e meno dibattiti”. Ecco secondo me Pannella aveva una cattiva coscienza, ma era infinitamente meglio di quelli che non ne hanno nessuna, e costringeva me e chi lo ascoltava ad averne una.

Lui amava chiunque amasse qualcosa. Una volta per radio dissi a Pannella: tu dici le cose della vita, entri nel dominio del cuore dove si gioca il significato del vivere e quello dell’amare una donna, il rapporto con chi muore e con chi deve nascere. Questa è la tua forza, e io mi commuovo. Dentro i tuoi discorsi, caro Marco, luccica l’oro delle questioni decisive che ci fanno uomini. Ma poi le tue risposte coincidono con la banalità del pensiero istintivo. Il diritto di godere e scopare (scopare: tutto lì, una faccenda da niente) e poi il dovere di consegnare le proprie speranze alla scienza e tanti poveri embrioni (che partecipano dell’essere, sono scintille imperdibili e comunque non nostre) a quattro scienziati come se fossero Dio. Perché? Per allungarci la vita, ma quale vita? Ora, caro Marco, la conosci, ed essa ha il volto della Misericordia.