Tocca alla Turchia. C’è un golpe militare. Carri armati, aerei a bassa quota, coprifuoco. È un Paese della Nato, Stato chiave, tassello decisivo nel puzzle dell’ordine, anzi disordine, mondiale. Il neo-sultano sembra un ex sultano: Erdogan è in fuga. I palazzi dei servizi segreti di Ankara e le caserme della polizia sono stati assaltati con successo. Poi apparentemente la piazza sta con lui, con Erdogan, che dopo tre ore torna a Istanbul e va in conferenza stampa.
Gli Stati Uniti mostrano sorpresa, Kerry, segretario di Stato, è a Mosca, dal suo omologo Lavrov. Entrambi chiedono moderazione, stabilità, continuità, auspicano non ci sia sangue. Oso affermare che è una sorpresa assai poco credibile, e pare che il ribaltamento del potere sia accettato da entrambe le grandi potenze. Come minimo accettato. Più probabilmente concordato. Troppo instabile ultimamente la politica internazionale del capo dello Stato. Prima ha cercato lo scontro diplomatico con la Russia e attaccando i curdi in lotta contro lo stato islamico in Siria. Poi ha cercato accordi, ma non si è capito se covasse altri pensieri. Intanto i suoi servizi segreti sono stati completamente incapaci di contrastare attentati, ed anzi ritenuti complici, in una strategia della tensione spinta a dare consenso al leader sempre più dispotico.
Naturalmente siamo nel campo delle ipotesi.
Erdogan chiede per telefono che il popolo scenda in piazza a fermare i golpisti. Viene ascoltato. Per la democrazia? Magari. Chiedetelo ai ragazzi ripetutamente malmenati in piazza. Chiedetelo ai giornalisti imprigionati per avere solo espresso dissenso.
Quando la gente, a Istanbul e Ankara, va in strada e si para davanti ai carri armati, arrivano due dichiarazioni importanti. “Si rispetti l’ordine democratico”. Sono di Barack Obama e di Angela Merkel.
Un putsch — intendiamoci — è sempre una cosa cattiva, ma c’è qualcosa di peggio di un golpe, ed è il progredire di un potere assoluto e filo-fondamentalista islamico, quale negli ultimi anni ha voluto Erdogan, che ha tradito le radici laiche della Turchia di Ataturk, accarezzando — secondo accuse russe — lo stato islamico.
Democrazia contro militari?
È vero che il popolo ha votato Erdogan, ma progressivamente la Turchia si è spostata ben al di là dei confini della democrazia, verso la democratura, un Ircocervo dove la dittatura prende progressivamente il posto della sovranità popolare.
Ieri Ilsussidiario.net ha titolato che alla Francia laica non resta che pregare. Sembra un titolo pessimista. Ma è una risorsa vera. Essa è domanda a Dio, ma intanto ha già il potere di radunare gli esseri umani in una famiglia che sa di essere bisognosa di tutto, contro tutte le cattive possibilità della storia.
Quanto alla Turchia, attendiamo. L’importante, per ora, è che il fallito golpe non si trasformi in guerra civile. E che prevalga la buona volontà. Ma molto rimane incerto, nonostante i proclami di Erdogan.