Non c’è nulla di anormale nell’attentato di Istanbul. La normalità è colpire, travolgere, avvelenare la normalità. Non c’è nulla di stravagante nel festeggiare l’anno nuovo in un locale all’aperto, uno dei più rinomati che si affacciano sul Bosforo nella parte europea della megalopoli (10-15 milioni di abitanti). Besiktas, Ortakoj sono i quartieri dove in questa stagione di feste su mescolano turchi e stranieri, trattando Istanbul per quello che è: una grande città europea, più pulita di Roma senza dubbio. Per questo l’attentato stavolta non è da considerarsi un affare interno, legato all’altalenante politica di Erdogan, ai problemi coi curdi, alla questione delle sue alleanze: è in continuità con l’assalto di Berlino, Nizza, Bruxelles, Parigi. L’estremismo islamico armato odia la normalità di vita e si vuole inserire come fattore normalmente distruttivo, con malvagio successo.



La solidarietà manifestata universalmente al popolo e al governo turchi stavolta non paiono grondare ipocrisia. Il messaggio di Putin chiama le cose per nome: “I terroristi uccidono in nome di valori che non sono i nostri”. I nostri: nostri in che senso? E quali sono? Nostri: come quelli espressi da Gentiloni, Merkel, Hollande, Netanyahu e Obama. E allora cosa impedisce una concorde alleanza, per affrontare questo orrore?



Invece lo sappiamo: prevalgono interessi meschini, il valore purtroppo molto “nostro”, e che accomuna purtroppo i leader del mondo è il “si salvi chi può”, o tra i grandi il pensare al proprio particolare, alla egemonia della propria nazione, e il resto si arrangi.

Questo ragionamento, sbagliato sempre, è oggi anche suicida. Occorre un concorso universale, di risorse, pensieri, generosità per affrontare con speranza quella che Papa Francesco oggi ha chiamato “la piaga” sul corpo della nostra umanità.

Oggi non vediamo questa limpidezza di visione in giro tra i leader del mondo. Il Papa potrebbe avere questa audacia. Non so in che forma, ma non vedo molte altre chance. Non certo per ordire trame di guerra, ma per ospitare dialoghi di pace.