Emozione. Soprattutto una grande emozione. Quale altra sensazione potrebbe provare infatti un fan, se una delle sue band preferite tornasse a suonare dopo sette anni di silenzio?
Eppure, quando ho deciso di guardare il concerto-evento del ritorno on stage dei Linkin Park (andato in onda in diretta mondiale il 5 settembre 2024 e che in una settimana ha superato gli 8 milioni di visualizzazioni su youtube), non avevo idea di cosa aspettarmi.
La storia è quella che molti di noi tristemente ricordano: Chester Bennington, l’amatissimo lead vocalist della band, è morto suicida nel luglio del 2017. Da quel giorno, per sette lunghi anni, i componenti del gruppo (o “della famiglia” come ama dire Mike Shinoda, co-lead vocalist della band) si sono sostanzialmente fermati, senza mai perdere il contatto tra di loro, ma lavorando ciascuno ai propri progetti. Mike, ad esempio, nel 2018 ha realizzato un album, intitolato in modo inequivocabile “Post Traumatic”, e nel 2019 ha prodotto la apprezzabile “Fine”, per il semisconosciuto sci-fi movie russo “The Blackout”.
Ma torniamo al presente: tutto sommato a sorpresa (per quanto annunciato da un countdown che una volta arrivato allo zero è proseguito indisturbato a contare in positivo), i Linkin Park sono tornati sulla scena presentando il nuovo singolo “The Emptyness Machine” e annunciando l’uscita a novembre del nuovo album “From Zero”, oltre a un immediato mini-World Tour di sei date, che toccherà anche l’Europa (Germania e Inghilterra).
Ma ovviamente, la notizia più rilevante (oltre che lo shock più grande per i fan) è stata l’annuncio della nuova cantante Emily Armstrong (fondatrice della rock band americana Dead Sara), chiamata a “sostituire” l’insostituibile Chester Bennington. L’altra modifica alla line-up della band, passata quasi in sordina, riguarda la sostituzione dello storico batterista Rob Bourdon, che già aveva dato segnali di volersi allontanare dalla band, con Colin Brittain (di cui vorrei segnalare l’importante collaborazione all’ottimo album “Who do you trust?” dei Papa Roach).
Viste le numerose novità presentate in contemporanea, è difficile decidere da dove partire: scelgo il nuovo singolo “The Emptyness Machine”. Un pezzo a mio giudizio consistente, energico, oltre che sufficientemente “nu metal”. Ritengo che qui la nuova cantante Emily Armstrong si integri molto efficacemente, con la giusta dose di potenza e senza particolari forzature, mettendo semplicemente in evidenza la sua splendida voce. A margine, le ultime note sembrano riprendere (immagino non a caso) il finale di una delle hit storiche della band, “In the end”.
Il testo, oltre che il titolo, tradisce una certa insofferenza verso qualcosa di non perfettamente definito: le interpretazioni in proposito sono (già) molteplici in rete, ma la mia sensazione è che uno degli obiettivi sia il mondo dello show-biz, che macina e uniforma tutto e tutti, e a cui la band ha deciso in un certo senso di ri-sottoporsi. Alcuni esempi: “Ho rinunciato a quello che che sono per quello che volevi che fossi.
Non so perché spero in quello che non riceverò. Innamorarsi della promessa della macchina del vuoto”.
La sensazione è analoga a quella che avevo provato sentendo Mike cantare “Watching as I fall”, anche se in quel caso i riferimenti erano molto più diretti.
Anche il video che accompagna il singolo è apprezzabile, con una prima parte che sembra richiamare il fatto che ognuno nella band dovrebbe considerarsi a supporto degli altri, e una seconda parte con maggiore impatto visivo e tecnologico: le sorprendenti scene “pixelate” sorprendono e catturano lo sguardo.
Passo ora al concerto-evento, denominato “From Zero”, attraverso cui i Linkin Park hanno voluto ripresentarsi sulla scena musicale mondiale. A mio giudizio, si tratta di un’ora di Linkin Park decisamente “tradizionali”, costruita quasi totalmente sui pezzi di maggior successo (a eccezione dell’apertura con il nuovo singolo).
Proprio mentre durante il concerto constatavo questa tradizionalità, ho iniziato a sentire un certo nervosismo, direi quasi un fastidio: di fatto, ascoltando quasi tutti i brani della setlist, la sensazione è che Emily cerchi, se non proprio di imitare, almeno di “evocare” Chester (nonostante le dichiarazioni di Mike: “She’s not trying to be him. She’s trying to be her”). In sostanza, ho percepito una certa forzatura vocale in pezzi come “Crawling”, “Lying From You”, “Numb”, oltre che nel classico pezzo di chiusura “Bleed it out”, dove le analogie con gli scream di Chester si sprecano. Questo è sicuramente un aspetto che lascia perplessi: pur nella ovvia libertà di interpretazione di ogni artista, risulta abbastanza logico pensare che queste analogie siano state pensate e in un certo senso approvate da tutto il gruppo, anche se magari col solo obiettivo di mantenere una certa aderenza alle sonorità dei pezzi originali.
Finisco con qualche riflessione sul nuovo progetto nel suo insieme.
Quanto può essere condivisibile la scelta di ricominciare una storia che si era spezzata in modo tragico sette anni fa utilizzando lo stesso nome, la stessa impostazione musicale e in un certo senso anche vocale, lo stesso approccio commerciale del periodo precedente? (a proposito dell’aspetto commerciale, segnalo che sono già disponibili in preorder ben tre versioni del CD, due del vinile, una musicassetta (!) oltre a t-shirt e cappellini con il logo rivisto). Non sarebbe stato più interessante, sia per la band che per i vecchi e nuovi fan, affrontare questa ripartenza lasciando il passato lì dove si era fermato, e ripartendo veramente “From Zero”?
Come si può intuire, io avrei preferito di gran lunga quest’ultima opzione.
Nonostante ciò, considerando la buona impressione suscitata dal nuovo singolo, rimango in attesa dell’uscita dell’album a novembre per dare un giudizio definitivo. Sono infatti convinto che concedere un po’ di fiducia a questi “ragazzi” sia una cosa doverosa, considerando quanto ci hanno regalato fino a luglio 2017, fino al momento in cui tutto è diventato tristemente e irrimediabilmente buio.
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