Arriva l’artiglierai pensante a sostegno dei ragazzi di Roca, arriva Lino Banfi: la vicenda…
Chiunque ha memoria di quando, da bambino, qualche calda sera d’estate, magari in vacanza, dopo aver cenato lasciava i genitori a casa e correva in strada, con gli amici, a giocare a pallone. Questo bel ricordo forse non lo avranno i giovani ragazzi di Roca, una piccolissima frazione di Lecce dove, il sindaco della città, ha vietato il gioco del pallone. I ragazzi però hanno deciso di non arrendersi ma protestare e, a sostenerli, è arrivata l’artiglieria pesante, l’unico e inimitabile nonno d’Italia: Lino Banfi.
È stato il sindaco di Melendugno a far affiggere il cartello: “Vietato l’uso del pallone”, nella piazza della città, destando così la rabbia dei più giovani.
Al Quotidiano Puglia aveva giustificato la sua scelta dicendo: “La piazza è fatta per passeggiare e si deve pensare a questo luogo come a un ritrovo, non si possono fare partite a pallone o pallavolo, perché è molto pericoloso. Passano macchine e ogni momento potrebbe succedere qualche tragedia”. I giovani, sconvolti della notizia, sono intervenuti con una protesta silenziosa: sono scesi nella “piazza proibita” e si sono seduti per terra, vicino alla panchina principale, e senza alzare la testa hanno tenuto per ore intere gli occhi sugli smartphone. Al centro poi hanno posto un grande cartello che recitava: “Criticate tanto la nostra generazione ma ci avete tolto il pallone”.
Lino Banfi si schiera con i ragazzi di Roca: “Quando ero giovane c’era la guerra e non potevamo giocare, più tardi andai in seminario e…”
È così che, a sostegno dei giovani, è intervenuto il mitico “Nonno d’Italia”, Lino Banfi, che ha espresso la sua opinione in un’intervista per il Corriere della Sera: “Sto assolutamente dalla parte dei bambini che si sono “ribellati”. Se serve vado in Salento e li alleno io”, ha esordito. L’attore ha voluto sottolineare come il gioco in condivisione sia fondamentale per bambini e ragazzi: “Io da sempre sostengo e promuovo l’importanza del gioco, dell’allegria, della spensieratezza. Se impediamo ai più piccoli di giocare come vogliono, come possiamo pensare che crescano felici?”, ha detto.
Un privilegio, quello del giocare a pallone in strada, che lui da giovane non ha avuto e che forse per questo, ci tiene cosi tanto a salvaguardare: “Io sono del 1936 e pochi anni dopo è arrivata la guerra, quindi la mia infanzia non è stata cosi spensierata. Poi dal 10 a 15 anni sono stato in seminario. Ma mi ricordo che quando, da piccoli, giocavamo per strada lo facevamo con le latte vuote per avere qualcosa da prendere a calci”. Ed è proprio per questo che ha deciso di dire la sua, rimettendosi la tuta del mitico allenatore Oronozo Canà ha chiuso l’intervista con una rima: “Ha ragione Oronozo Canà. Dovunque bisogna giocà!”