L’OPERA CAPOLAVORO DI MILAN KUNDERA: “L’INSOSTENIBILE LEGGEREZZA DELL’ESSERE”

«L’insostenibile leggerezza dell’essere»: difficile trovare romanzi del genere così pienamente rappresentativi degli autori che li scrivono. Così però era per Milan Kundera, morto oggi nella sua residenza in Francia all’età di 94 anni, dopo una vita intera dedicata alla libertà di pensiero contro ogni “ingabbiatura”, contro ogni “dittatura” non dimenticando mai il valore primario del racconto letterario, ovvero l’esistenza umana.



Un’opera capolavoro “L’insostenibile leggerezza dell’essere” che riesce, quasi 20 anni dopo i fatti narrati nella trama, a centrare il tema del potere, del dolore e della speranza rappresentata dai rapporti umani: scritto nel 1982 e pubblicato in Francia solo due anni dopo, il capolavoro di Milan Kundera per anni non è stato possibile leggerlo in Repubblica Ceca vista la persecuzione e l’esilio con tanto di cittadinanza negata per l’autore “scappato” nella Francia che lo ha accolto. La dialettica tra pesantezza e leggerezza apre e di fatto domina l’intero romanzo e porta il lettore a chiedersi, insieme all’autore: data l’assoluta fragilità e l’irripetibilità delle nostre esistenze, «che cosa dobbiamo scegliere, allora? La pesantezza o la leggerezza?». La trama innesca tra personaggi e lettori continui “giochi di specchi” e richiami, destinati a non esaurirsi neanche con il finale “criptico”.



LA TRAMA DE “L’INSOSTENIBILE LEGGEREZZA DELL’ESSERE”

In termini di trama, il romanzo “L’insostenibile leggerezza dell’essere” vede Milan Kundera inserire le vicende narrate nel 1968 con la Primavera di Praga (il movimento che tentò la liberazione dal giogo della dittatura sovietica, represso dai carroarmati URSS nel pieno della Guerra Fredda). La storia descrive la vita degli intellettuali e artisti cecoslovacchi nel periodo tra la speranza per una rinascita della cultura oltre il regime e la repressione dei carri armati russi voluta dal Patto di Varsavia.

La trama poi si focalizza sul gruppo noto come “Il Quartetto di Kundera” ed è composto da Tomas, chirurgo di successo che perde improvvisamente il lavoro a causa di un suo articolo su Edipo: anche a causa delle modifiche operate dai redattori del giornale a cui ha inviato quel particolare articolo, risulta molto critico nei confronti dei comunisti cecoslovacchi. Con Tomas protagonista è la sua compagna Tereza, l’amante Sabina e un altro amante di quest’ultima, Franz: ii 4 – rispettivamente il chirurgo, la fotografa, la pittrice e il professore universitario – sono i personaggi seguiti nelle loro vite fino alla fine all’interno del romanzo. L’amore e la seduzione, la libertà personale e la sfida “leggera” al potere totalitario riempiono le pagine di uno dei capolavori della cultura letteraria novecentesca.



KUNDERA, L’AMORE E IL DOLORE “INSOSTENIBILE”

Amori, tradimenti, delusioni e dolori irriducibili: questo e molto altro viene letteralmente “esploso” all’interno de “L’insostenibile leggerezza dell’essere” con Milan Kundera intento a raccontare da vicino tanto il periodo storico in cui lui è stato nettamente “espulso” dal potere ideologico sovietico, quanto l’affrontare con coraggio l’esistenzialità umana contemporanea con il crollo di valori e rapporti “saldi”. Come spiega l’edizione Adelphi nel presentare il romanzo, «All’interno di quel quadrilatero si intreccia una molteplicità di fili: un filo è un dettaglio fisiologico, un altro è una questione metafisica, un filo è un atroce aneddoto storico, un filo è un’immagine. Tutto è variazione, incessante esplorazione del possibile».

Domande che penetrano, esistenze che soffrono e quell’insostenibile dolore che si spande all’interno dell’opera kunderiana rappresentano uno dei punti più alti letterari del Novecento: con “L’insostenibile leggerezza dell’essere” Milan Kundera porta la trasformazione del mondo intero in una grande “trappola”, una cancellazione dell’esistenza «come in quelle fotografie ritoccate dove i sovietici fanno sparire le facce dei personaggi caduti in disgrazia», rileva ancora Adelphi. In una storica intervista pubblicata dal New York Times nel 1985 l’autore racconta, pur rimanendo sostanzialmente “non credente”, l’impatto shoccante avuto con la dittatura sovietica vissuta sulla pelle di migliaia di suoi connazionali: «la polemica tra destra e sinistra? Il pericolo che ci minaccia è l’impero totalitario. Khomeini, Mao, Stalin – sinistra o destra? Il totalitarismo non è né l’una cosa né l’altra, al suo interno queste distinzioni si essiccano. Non sono mai stato credente, ma dopo aver visto i cechi cattolici perseguitati durante il terrore staliniano ho provato la più profonda solidarietà verso di loro. Quel che ci separava, la fede in Dio, veniva dopo a quel che ci univa. Una solidarietà da impiccati».