Oggi, nel corso del Meeting di Rimini, si terrà alle ore 17:00, presso la Sala Conai A2, l’incontro con il Presidente del CNEL Renato Brunetta, sul tema “CNEL: piattaforma di valorizzazione dei corpi intermedi”. Introdurrà il Presidente della Fondazione per la Sussidiarietà Giorgio Vittadini. Qui di seguito un’intervista di Vittadini a Brunetta, sui temi che saranno oggetto del dialogo.



Voglio partire da quanto lei ha scritto il 30 luglio 2024 sul Sole 24 Ore, parlando di intelligenza artificiale, in merito alla crisi dei corpi intermedi, che hanno rappresentato la più grande impalcatura della democrazia e che oggi vanno rimotivati, per spingerli a operare nell’interesse di un bene superiore: la coesione sociale, valoriale, comunitaria, a tutti i livelli.



La verità è che usciamo da un decennio che ha segnato una crisi della democrazia intesa proprio come svuotamento della rappresentanza e progressiva marginalizzazione dei corpi intermedi, in nome di un’utopia falsificatrice che ha creduto di ridurre la sovranità all’esercizio del diritto di voto, tradendo così lo spirito della Costituzione. L’illusione di una società disintermediata si è infranta sulle crisi globali dell’ultimo triennio, la pandemia e la guerra in Ucraina tra tutte, di fronte alle quali le democrazie hanno espresso la migliore difesa quanto più hanno messo in gioco la pienezza della propria dialettica, attivando cooperazioni e solidarietà capaci di fronteggiare l’emergenza.



È tempo di un protagonismo e di una rinnovata responsabilità da parte di chi sa e può lavorare per il bene comune, contribuendo non solo alla costruzione di una visione del futuro che vogliamo, ma anche all’attuazione concreta di questa visione nella società, nei settori economici, nelle comunità, nei nuovi luoghi del lavoro. La priorità è ricostruire con pazienza quella rete di relazioni e quelle sedi istituzionali che danno forma e sostanza ai doveri inderogabili di solidarietà politica, economica e sociale di cui parla la nostra Carta costituzionale. Questa è la strada più sicura per concorrere al pieno sviluppo della persona umana e all’effettiva partecipazione delle forze economiche e sociali alla grande occasione che il cambiamento in atto ci offre e che non possiamo sprecare. È una chiave di rigenerazione delle democrazie in un tempo di verticalizzazione crescente dei rapporti sociali e della domanda e dell’offerta politica.

È qui che entra in gioco il CNEL, come casa dei corpi intermedi?

Sì, raccordare gli interessi di tutte le categorie economiche e sociali, favorire il confronto e giungere a un risultato di mediazione che tenga in considerazione le esigenze di tutti. È questo, in sintesi, il ruolo del CNEL, quale organo di rilevanza costituzionale chiamato dai Padri costituenti (art. 99) a contribuire alla elaborazione della legislazione in materia economica e sociale e a offrire ausilio al Parlamento e al Governo. L’idea ispiratrice dell’istituzione del CNEL è stata poi rafforzata ulteriormente con la legge 936/1986 che, ancora oggi, ne regola il funzionamento e ne definisce l’organizzazione e le attribuzioni. Il relatore alla Camera è stato l’attuale Presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, che ha qualificato il CNEL come il luogo naturale della partecipazione della società civile organizzata ai processi decisionali pubblici

L’idea stessa dei Padri costituenti nel dar vita al CNEL risponde a una consapevolezza che si fa strada nella nuova classe dirigente dell’Italia repubblicana: la rappresentanza politica non è sufficiente a intermediarie tutte le istanze e ad assorbire tutti i conflitti che irradiano e segmentano la società e i processi economici. Di più, non è sempre in grado di mettere in connessione la funzione lato sensu rappresentativa degli interessi economico-sociali con quella tecnico-scientifica dell’analisi del contesto e degli scenari. La complessità dello Stato sociale, sovraccaricato di compiti e di domande di intervento, impone che vi siano sedi nelle quali possa essere recuperata quella visione di insieme dei grandi processi in corso e nella quale possano avere voce e confrontarsi i segmenti sempre più articolati delle istituzioni, della economia e della società.

In effetti, possiamo dire che il primo compito dei corpi intermedi è di suscitare, secondo un pluralismo ideale e una diversità di accenti, una passione più profonda per la vita, per l’uomo e per il bene comune, altrimenti nessun impegno politico e partitico può essere duraturo e proficuo per la società e per lo stesso Stato. I corpi sociali, le comunità intermedie, non sono luoghi idilliaci, “puri”, dove non esiste più la riduzione del desiderio, l’errore, l’egoismo sottolineato da Thomas Hobbes. Sono piuttosto realtà dove una continua educazione e una riscoperta delle proprie esigenze strutturali aiuta le persone, in modo drammatico e mai concluso, a crescere, a prendere consapevolezza di sé e della realtà, a educare il proprio desiderio difendendolo dalle riduzioni proprie e del potere. La conciliazione tra l’interesse del singolo e il bene comune avviene in modo non coercitivo e non repressivo come nello schema hobbesiano. È però necessario che vi siano luoghi e momenti in cui tale conciliazione venga rafforzata e favorita. Non crede che anche questo possa essere uno dei compiti fondamentali del CNEL?

Certamente. La XI consiliatura, che si è insediata un anno fa, ha questo obiettivo prioritario, proseguendo e implementando il ritmo di marcia già impresso dalla consiliatura precedente. È necessario affiancare all’attività progettuale e di contenuto del programma, un’azione continuativa volta a dare compiuta espressione al protagonismo delle forze sociali, in coerenza con la Costituzione. Per questo vogliamo adottare un approccio di espansione, e non più di riduzione o di semplice mantenimento, perché si vuole ridare consistenza ai corpi intermedi. Le grandi transizioni in atto – ambientale, digitale e demografica – non sono prive di effetti asimmetrici sulle società. C’è il rischio di aprire un solco tra chi dalle transizioni trae benefici e chi, invece, le subisce. A ciò si aggiunga che la crescente polarizzazione del dibattito pubblico su questi temi ha aperto un conflitto destinato, non tanto a frenare il cambiamento, quanto a lasciarlo senza guida e direzione politica. Servono perciò analisi precise degli impatti che tali processi hanno su tutte le realtà produttive e politiche mirate ad ammortizzarne i costi sociali e a tutelare i più fragili. Di più, occorre trasferire responsabilità dal livello centrale al livello territoriale, ossia nei contesti su cui le transizioni impattano. Ne consegue che i veri protagonisti della trasformazione sono i corpi intermedi della società. Protagonisti perché inevitabili destinatari dei cambiamenti, mediati dal lavoro, e perché decisori a livello di prossimità delle azioni necessarie a gestirli in modo efficiente ed efficace. Se però i corpi intermedi cedono alla polarizzazione del dibattito politico e civile, se si arroccano in una resistenza diffidente, se pensano unicamente di lucrare in una logica particolaristica, le società contemporanee, e forse il mondo intero, avranno perso una occasione di sviluppo e, insieme, una scialuppa di salvataggio.

Il CNEL è il luogo capace di trasformare gli interessi di cui i corpi intermedi sono portatori in responsabilità e virtù civiche, con un valore aggiunto per la comunità. Ciò si realizza in un dialogo costante e cooperativo tra le rappresentanze sindacali, datoriali e del volontariato, ma anche dell’Accademia e delle eccellenze scientifiche e culturali del Paese. È infatti sbagliato ritenere che gli “interessi di categoria” danneggino in sé la collettività, perché sono invece l’essenza stessa di una società libera e pluralistica. Il danno si produce, semmai, quando non funzionano o non vengono valorizzate le sedi deputate a fare sintesi. Tenere acceso il confronto tra queste energie della società italiana è il primo impegno del CNEL. Il dialogo tra portatori di interessi diversi e a volte in conflitto non è un rischio, ma la base di una democrazia pluralista e di capacità di rinnovamento democratico, motore di trasformazione del conflitto in crescita sociale, la risposta reale al rischio crescente di società divise e “a isole”.

A mio avviso occorre anche un’autentica ripartenza antropologica, un radicamento cioè in quel modo di concepire l’umano – e prima ancora di “sentirlo” – come essere relazionale, che implica una rinnovata concezione delle relazioni sociali e del vivere politico che sia inclusiva. Per ricominciare occorre tornare a riscoprire, tutti, ricchi e poveri, la natura relazionale del nostro “io”, che amplia la possibilità di conoscere e amare la realtà, e può farci superare quell’approccio razionalista e calcolatore che nasconde egoismo e visione di breve respiro.

In questo senso è dirimente la capacità di costruire modelli di sviluppo sociale inclusivo veramente partecipati e in grado di innescare un circuito virtuoso nei processi di rigenerazione del tessuto connettivo identitario dei territori. Si tratta di tentare di ricostruire e ripristinare – mutuando termini e concetti già utilizzati in economia – veri e propri circuiti locali di produzione e distribuzione di quelli che definiamo “beni relazionali”, prodotti immateriali, ma altrettanto preziosi e infungibili che possono nascere esclusivamente dalla condivisione volontaria e reciproca posta in essere da singoli cittadini, gruppi informali, realtà territoriali, sociali e del volontariato, del privato sociale a vocazione solidaristica. Si tratta di riconnettere il tessuto sociale come investimento e binario di sviluppo, anche attraverso la valorizzazione del capitale umano e delle buone pratiche che maturano nei servizi di prossimità per la centralità assegnata alla persona.

Dobbiamo considerare che è proprio nelle comunità intermedie che le persone, non intese in termini astratti ma nella loro realtà, divengono relazionali e sociali, non vivono isolate, ma si uniscono in una pluralità di comunità e possono quindi muoversi in termini razionali, senza la necessità di porre sempre e comunque al di sopra di tutto la massimizzazione di un’utilità individuale, economica e finanziaria. In quest’ottica, quale può essere una rilettura più moderna della sussidiarietà?

È sempre più indispensabile assumere un’idea di Stato non invasivo ma amico e vicino, capace di esprimere al meglio la sussidiarietà. Sono convinto che la società civile esprima una dimensione plurarchica, nella quale si confrontano realtà politiche, economiche e culturali, tutte potenzialmente concorrenti alla realizzazione, mai definitiva, delle condizioni che consentono alle persone, singole e associate, di perseguire la propria idea di bene comune. In tal modo, i “piccoli plotoni”, i “mondi vitali”, i “corpi intermedi” assumono anche il carattere di “enti concorrenti”, la cui opera contribuisce a rendere sempre più conforme l’azione della pluriforme società civile con l’ideale repubblicano: “civitas propter cives, non cives propter civitatem“, implementando il principio di sussidiarietà sia nella sua dimensione verticale sia in quella orizzontale.

Un ambito su cui, ad esempio, vorrei porre l’attenzione riguarda la prospettiva sussidiaria delle fondazioni di origine bancaria che potrebbero rappresentare, e in parte già rappresentano, preziosi motori di sviluppo umano che integrano la dimensione economica, politica e culturale. Il passaggio dall’idea al fatto, in una società libera, dunque democratica in quanto non aristocratica, necessita di una pluralità di soggetti che, oltre a rendere disponibile il credito, rendano disponibili anche risorse per la realizzazione di opere che interessano direttamente le comunità nelle quali essi operano, in ottemperanza al principio di sussidiarietà orizzontale. Le attuali 86 Fondazioni di Origine Bancaria (FOB) presenti in Italia, organizzazioni non for profit private e autonome, grazie agli utili generati dagli investimenti dei loro patrimoni, intervengono sui territori promuovendo il cosiddetto “welfare di comunità”, sostenendo le organizzazioni del Terzo settore, le istituzioni, le imprese e, quali stakeholder finali, i singoli individui in progettualità che mirano a prendersi cura del benessere della comunità. Tali Fondazioni fungono da volano – anche attraverso azioni convergenti – per raggiungere la massa critica per il cambiamento di un territorio, per il superamento di difficoltà e di ritardi nell’offerta di un welfare generativo e innovativo, per risposte “life changing” in settori della vita del Paese affetti da croniche disuguaglianze e difficoltà. Si realizza così il principio di sussidiarietà orizzontale sancito dalla Costituzione con le FOB che rappresentano, oggi più che mai, un motore insostituibile in settori strategici quali la ricerca, l’innovazione, la formazione, la cultura, il welfare, la coesione sociale o le infrastrutture.

Un’altra area che offre un importante spunto di riflessione, nella consapevolezza della parzialità rispetto alla vastità e alla complessità del problema generale della sussidiarietà orizzontale e dei problemi particolari che essa suscita, riguarda l’analisi del ruolo e della prospettiva dell’impresa; quella speciale istituzione della società civile chiamata a implementare il fondamento stesso dell’esperimento repubblicano del nostro Paese: “L’Italia è una Repubblica democratica, fondata sul lavoro”. In tal senso, un’attenta rilettura del rapporto tra società civile e decisore politico non può ignorare quella fitta rete di attività economiche che si riconoscono nelle Camere di commercio, significative “autonomie funzionali” che operano con competenze promozionali, amministrative e di supporto alla comunità imprenditoriale. In breve, ancor prima di rappresentare le imprese, le Camere di commercio, in un sistema di rappresentanza dei corpi intermedi e degli enti concorrenti, esprimono la vitalità inclusiva della società civile, finalmente liberata dall’artificiosa e ideologica contrapposizione che vede le imprese contrapposte alle istituzioni politiche e il mercato alla politica. Tale liberazione riconsegna la società civile stessa alla spontanea concorrenza per il bene comune, nella quale tutto il sistema sociale, in tutta la sua complessità, contribuisce al bene di tutti e di ciascuno, senza cedere al preteso primato di questo o di quel sistema, di questa o di quella istituzione, espressione di una prospettiva gerarchica del sistema sociale.

Sempre in questa prospettiva, pensiamo anche al ruolo dei Consorzi di bonifica, una realtà che ha cambiato, per sempre, non solo la storia economica ma anche la fisionomia del nostro territorio. Una realtà che raffigura l’essenza stessa di corpo intermedio, nel proprio esercizio costante di collaborazione e concertazione con gli enti che operano sul territorio per la difesa del suolo, la regolazione delle acque, l’irrigazione e la salvaguardia ambientale. Nei Consorzi di bonifica ritroviamo quattro elementi strettamente connaturati ai corpi intermedi: prossimità al territorio, per rispondere tempestivamente alle esigenze specifiche delle realtà locali; coinvolgimento della comunità e, quindi, partecipazione attiva dal basso; competenza, che vuol dire avere l’expertise per la progettazione e la realizzazione dei programmi di cambiamento; collaborazione, come parte di reti più ampie, reti intelligenti, reti che “respirano”, reti che assorbono e restituiscono alimentando così il tessuto connettivo del Paese. Possiamo veramente dire: chi ha una rete ha un tesoro.

C’è poi una prospettiva che va oltre il livello nazionale. Raghuram Rajan – già economista della Banca centrale indiana ed economista del Fondo monetario internazionale, oltre che docente all’Università di Chicago – ritiene che le comunità locali permettono di riequilibrare il rapporto tra massimizzazione del profitto e massimizzazione del valore, utilizzando la reale concorrenza dei mercati contro gli oligopoli delle grandi multinazionali.

La crisi dei corpi intermedi favorisce gli oligopoli delle grandi multinazionali. Pensiamo, in particolare, ai nuovi grandi attori dell’economia digitale: le piattaforme informatiche, i social network e i sistemi algoritmici eterodiretti ed etero governati, in grado di riempire il “vuoto” determinato dalla desertificazione dei corpi intermedi classici. Stiamo assistendo alla consacrazione di un’élite in assenza di una vera rappresentanza della “società civile”, con la conseguente perdita dei valori collettivi e del senso di comunità delle democrazie moderne e liberali. Mostri destinati a popolare il deserto della società moderna.

Torniamo alla nostra realtà nazionale. La traiettoria del welfare italiano è stata caratterizzata dalla costruzione di un sistema di tutele crescenti che hanno consentito di passare dallo Stato minimo del primo dopoguerra allo Stato sociale attuale. Questo passaggio è stato consentito da una crescita dell’economia che ha dotato il nostro sistema delle risorse necessarie per finanziarie il welfare. Oggi però, nonostante questo, le grandi transizioni in atto rischiano di accrescere le disuguaglianze, la disomogeneità territoriale, la frammentazione sociale. Quale può essere la risposta adatta? Lei ha lanciato l’idea di una nuova stagione di patti sociali.

Sì, è necessario riprendere la strada di un moderno patto sociale come metodo per una soluzione pienamente “politica”, nel senso più alto del termine, dei gravi problemi che concorrono alla crescita delle diseguaglianze, alla diffusione di forme di lavoro povero e precario, alla fuga nel sommerso. Abbiamo nei mesi scorsi ricordato, proprio al CNEL, i trent’anni del protocollo Ciampi-Giugni sulla politica dei redditi, che resta ancora oggi un valido esempio di coesione sociale e di valorizzazione del dialogo tra Governo e corpi intermedi, pur nella consapevolezza che è ora il tempo di intraprendere una strada diversa da quella della moderazione salariale che connotava questo storico e glorioso patto sociale.

Assumere il modello pattizio vuol dire accompagnare le transizioni per non subirle. Vuol dire aggiornare e ridisegnare, dentro una rinnovata visione della nostra società, le conquiste novecentesche in tema di welfare, lavoro, salari, distribuzione dei guadagni di produttività, partecipazione, democrazia economica, formazione, investimenti, capitale umano, inclusione e volontariato, conflitti distributivi, tassazione del capitale, del lavoro, tutela dell’ambiente e sostenibilità, gestione dei fluissi migratori e politiche demografiche, innovazione e tanto altro ancora.

Attraverso il patto si esplica l’intelligenza distributiva in grado di affrontare i cambiamenti, nella convinzione che le grandi sfide del futuro si vincono valorizzando il confronto tra i tanti soggetti della società civile, in vista di uno sforzo comune e condiviso. Questo è l’impegno che il CNEL sta portando avanti, favorendo un rinnovato protagonismo delle forze sociali, economiche e del volontariato, mobilitando le reti dei corpi intermedi. Vogliamo raccogliere quel che proviene dai vari segmenti della società civile organizzata e indirizzarlo al bene dell’intera collettività.

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