La pace è sempre possibile, nonostante la forza del male. Il male nasconde la vie della pace, Dio aiuta a trovarla, afferma con decisione il cardinale Matteo Zuppi, presidente della Cei e arcivescovo di Bologna, atteso oggi al Meeting di Rimini.

Zuppi ha avuto di recente una conversazione “cordiale” col rappresentante di Pechino per gli affari eurasiatici, Li Hui. Gli abbiamo chiesto innanzitutto come procede l’interlocuzione del Vaticano sul conflitto ucraino.



“L’attività della Santa Sede” dice il presidente dei vescovi italiani al Sussidiario “continua in maniera incessante, perché Papa Francesco non si arrende alla logica della guerra o a considerarla come fosse ineluttabile. Lui è realista e ci spinge a fare di tutto per fermarla. Lo sa e lo sappiamo che la pace non è facile, tanto più una volta che si è innescato il terribile meccanismo della violenza”.



Come vede il Papa questa situazione?

La visione di Papa Francesco è tutt’altro che irenica, ma non è per niente rassegnata, disillusa, accademica. La Chiesa è una madre che soffre per i suoi figli. Basta guardare una madre che ha perso il figlio o che non sa più nulla di lui da mesi per capire cosa significa la guerra. Basta guardare i bambini. Ecco perché non si stanca di spingerci ad avere “cordiali conversazioni” con quanti possono aiutare a trovare la chiave della pace. Ci vuole pazienza e insistenza.

Che cosa c’è in agenda e quali sviluppi potrebbero esserci?

La diplomazia della Santa Sede traduce la visione di papa Francesco in un’incessante attività per giungere ad un cessate il fuoco e ad una pace giusta e sicura. Ci concentriamo sempre sul piano umanitario, come il ricongiungimento dei bambini od ogni aspetto che possa lenire le enormi sofferenze di tutti.



Dal Medio oriente all’Ucraina le contrapposizioni e le ostilità sembrano aumentare invece che diminuire. Dove deve appoggiarsi la speranza cristiana della pace, per non diventare utopia o violenza?

La speranza si basa sul dono della pace che Gesù ci affida, chiedendoci di essere operatori di pace. Non lo siamo quando le cose vanno bene o non ci chiede impegno, vero e proprio sacrificio! Anzi: l’operatore di pace si vede sempre, ma ne capiamo l’importanza quando si misura apertamente con il male, dentro l’apocalisse di questa Babele che è il mondo. La speranza si nutre della preghiera e questa nutre, a sua volta, la concretezza della speranza, che certo non è fatalismo!

Che differenza c’è?

Chi prega non si rassegna, chiede a Dio e quello che domanda lo coinvolge a cercare e ad aiutare Dio a sconfiggere il male che arma le mani, le menti e i cuori delle persone e che nasconde la via della pace. Se il male la nasconde Dio ti aiuta a trovarla.

Che cosa ci deve preoccupare di più?

Ci deve preoccupare che le contrapposizioni e le ostilità aumentano, che si cura l’arte della guerra e non quella della pace, che i diritti sono calpestati sfacciatamente e sono irrisi gli strumenti per farli rispettare. Non aspettiamo che la guerra mondiale diventi un pezzo solo! Cosa deve accadere per farci decidere a metterci d’accordo e bloccare la logica della guerra? La pace non è utopia: è l’unico realismo, che però, con realismo, richiede intelligenza, tanto sforzo e sacrificio, perdita di sovranità per averne una super partes. Coltiviamo purtroppo l’illusione, davvero tale, di salvarci da soli, alzando muri, contrapponendosi, seminando ignoranza e odio.

Lei ha esortato tutti ad essere “artigiani di pace”. Quello dell’artigiano è un lavoro metodico, paziente. Cosa vuol dire, in concreto?

È paziente e metodico, giustamente. Lo è per due motivi. Il primo è che il male, cioè il divisore, il nemico, che stuzzica l’istinto e stravolge le relazioni tanto che il fratello diventa un nemico, non si ferma ed è metodico. Che illusione credere che la pace sia garantita senza fare la manutenzione, senza difenderla, farla crescere!

E il secondo motivo?

Il secondo è che se capiamo la pace proviamo fastidio, orrore, per la violenza, a cominciare da quella verbale o dai gesti fisici. Non dimentichiamo che Gesù ci ammonisce dicendo che anche chi dice pazzo a suo fratello è omicida. Un artigiano di pace non lo è qualche ora al giorno o con quelli che gli stanno simpatici o con cui non costa niente farlo! È un modo di pensarsi e di pensare l’altro. Significa mitezza, benevolenza, conoscenza. Un uomo di pace ha una forza straordinaria che disarma anche solo con lo sguardo, con la parola, con la prassi. Ed è tutt’altro che remissivo, nel senso che lascia perdere, non si prende responsabilità; tutt’altro. E non è mai violento.

Se applicassimo tutto questo alla democrazia e alla politica?

In democrazia questo significa che la pace non è di qualcuno, ma di tutti, e che dobbiamo cercare di applicare la seconda parte dell’articolo 11 della nostra Costituzione, cioè dotarci di strumenti in grado di comporre e prevenire i conflitti. E che la democrazia sia tale, capace di rispondere insieme a chi la minaccia. Su certi temi bisogna mettere da parte l’agonismo politico, ma difendere le proprie convinzioni cercando però quello che sia per tutti e di tutti.

Davvero la pace è sempre possibile?

Sì. La pace è sempre possibile, anche quando appare ineluttabile la logica della violenza e dell’odio. Chi avrebbe detto ottant’anni fa che dopo quello che era successo sarebbe stato possibile vivere insieme tra francesi e tedeschi, italiani? Proprio la consapevolezza della guerra e la costruzione di una casa comune ha permesso una pace altrimenti impossibile. Ma richiede un prezzo. Non dev’essere quello di persone che muoiono per difenderla o raggiungerla! Quando impareremo? Sarà comunque troppo tardi. Quanto poco calcoliamo cosa succede senza…

Lei di recente ha chiesto alla Chiesa italiana – e dunque anche ai fedeli laici – di “compiere i prodigi della prima generazione cristiana”. Perché? Cosa significa oggi?

Perché siamo cristiani! Gesù ci ha dato il potere e ci ha chiesto di usarlo non per noi, ma per guarire i malati e resuscitare i morti, ridare speranza a chi non l’ha più. La richiesta dei prodigi è contenuta nella preghiera colletta della domenica di Pentecoste. Lo spirito non è fossile, statico! Lo Spirito è efficace oggi ed è dinamico. Se non compiamo i prodigi il problema non è dello spirito, ma nostro, perché significa che siamo pieni di noi stessi, ci fidiamo della nostra forza e non della sua. E quanto c’è bisogno di credenti che cambiano il mondo, e i cuori, con la forza dello Spirito, cioè dell’amore di Dio che agisce direttamente e sempre anche attraverso il nostro amore.

Al Meeting oggi lei parlerà di “conciliazione” con il segretario della Lega musulmana mondiale. Cosa significa conciliazione? Che cosa si tratta di ottenere? Un compromesso? O qualcos’altro?

Intanto ricordiamoci cosa succede quando non c’è la riconciliazione. C’è l’odio, lo scontro, il rancore, la vendetta, la rabbia. Non si smaltiscono da soli e certi depositi sono inquinanti e pericolosi. Gesù, poi, ci impedisce la vendetta perché il perdono, la riconciliazione, la giustizia sono i modi con cui spezzi la catena del male. Ed è una catena terribile, resistentissima, che cerca altri anelli da fare prigionieri! “Ma io vi dico”, ci dice quando vorremmo un occhio per un occhio. L’odio e la violenza non sono mai inerti, ma restano sempre attivi anche per generazioni e intossicano le nostre relazioni. Non c’è pace senza perdono. E la riconciliazione richiede il miracolo della pace e questa inizia proprio nel liberarsi dal male attraverso la giustizia e il perdono. Insieme.

“Se non siamo alla ricerca dell’essenziale, allora cosa cerchiamo?”, chiede il Meeting di quest’anno. Come si sente interpellato da questa domanda di McCarthy?

Se non cerchiamo l’essenziale siamo pieni di quello che non lo è, pensiamo indispensabile quello che è invece inutile e vano, ma non innocuo! L’essenziale ci aiuta a non perdere tempo, e opportunità. Purtroppo, così pensiamo, siamo noi sempre a decidere e crediamo che possiamo farlo quando lo vogliamo. È una domanda per tutti, perché in tanti modi e giustificazioni finiamo come Marta a riempirci di affanni, diventando scontenti, divisivi, servi, non amici. E Gesù cerca amici suoi e tra di loro. L’essenziale però non è una vita grama, dura, faticosa. Anzi! Lo è molto di più perderci dietro la ricerca di un benessere che sfugge sempre, che riempie però di preoccupazioni, confronti, prestazioni, interpretazioni e non si raggiunge mai.

In altri termini, cercare l’essenziale ci cambia?

Certo. L’essenziale diventa davvero tuo e scopri chi sei e per chi sei. Essenziale è quello che ti permette di rendere luminoso e bello tutto e tutti. Essenziale è trovare quello che cercavi, come la perla trovata che ti porta con gioia a vendere tutto. Lo chiedeva Papa Benedetto, indicendo a 50 anni dal Concilio Vaticano II l’anno della fede, pensando proprio al deserto del mondo e dei cuori, quello che scandalizza qualcuno o fa credere che sia tutto finito.

E invece?

Al contrario, ci permette di ritrovare l’essenziale e capire quanto è essenziale il Vangelo: “È proprio a partire dall’esperienza di questo deserto, da questo vuoto che possiamo nuovamente scoprire la gioia di credere, la sua importanza vitale per noi uomini e donne. Nel deserto si riscopre il valore di ciò che è essenziale per vivere; così nel mondo contemporaneo sono innumerevoli i segni, spesso espressi in forma implicita o negativa, della sete di Dio, del senso ultimo della vita”. Ecco perché è decisivo l’essenziale, liberante e pieno, al contrario di tante schiavitù ingannevoli e false. E il tempo è la ricchezza che abbiamo, non infinita, per cui dissiparlo illudendosi e rincorrendo quello che non vale ci fa diventare distruttivi.

(Federico Ferraù)

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