Nelle conclusioni del Consiglio europeo della scorsa settimana è stato scritto che dopo le “sanzioni significative” finora approvate, l’Ue resta pronta a “muoversi rapidamente” per approvarne di nuove. E il presidente della Repubblica Mattarella ha sottolineato ieri come le misure economiche e finanziarie prese contro la Russia mirino a indebolire “chi pretende di imporre con la violenza delle armi le proprie scelte a un altro Paese, per frenare subito, per rendere insostenibile questo ritorno alla prepotenza della guerra che, se non trovasse ostacoli, non si fermerebbe ma produrrebbe una deriva angosciosa di conflitti che potrebbero non trovare limiti”. Tuttavia, come evidenzia l’economista francese Jean-Paul Fitoussi, “osservando i fatti possiamo notare che la resistenza del popolo ucraino sta funzionando molto più delle sanzioni. Quest’ultime, infatti, non hanno avuto nessun effetto sull’atteggiamento di Putin, che ha portato avanti l’invasione senza rimanere troppo impressionato dalle decisioni di Europa e Stati Uniti. È evidente, quindi, che se ‘l’operazione militare speciale’ russa è ancora lontana dall’essere conclusa è per via della resistenza ucraina, superiore a quella che Mosca si aspettava”.
Perché, secondo lei, le sanzioni non hanno funzionato?
Da un lato, perché esse hanno effetti a lungo termine, dunque, rispetto ai tempi di una guerra, possono arrivare troppo tardi. Dall’altro, perché funzionano bene se applicate a una democrazia, mentre nel caso di una dittatura si rilevano poco efficaci, perché chi è al potere può infischiarsene della sorte del popolo.
Dal momento che le sanzioni hanno anche dei contraccolpi per chi le applica, questo è un problema di non poco conto per l’Europa, dove, appunto, le democrazie hanno proprio il compito di cercare di proteggere i popoli.
Il problema è che siamo talmente dipendenti dalle materie prime, soprattutto energetiche, che importiamo dalla Russia che se venissero approvate altre sanzioni finiremmo per diventare vittime di quest’ultime almeno quanto Mosca. È per questa ragione che ora c’è molta cautela nell’approvare un nuovo pacchetto di sanzioni: il rischio è quello di provocare una crisi molto forte in Europa.
La scorsa settimana Macron ha detto che “stiamo entrando in una crisi alimentare senza precedenti” e Biden ha dichiarato che dobbiamo attenderci “vere carenze di cibo”. Cosa ne pensa?
È lo stesso tipo di problema che abbiamo con il petrolio e il gas, perché la Russia e l’Ucraina sono fornitori molto importanti di prodotti agroalimentari, in particolare il grano. L’errore che l’Europa ha fatto è stato quello di non prendere le giuste precauzioni nei confronti di un Paese che ha delle risorse enormi, pari a un sesto di quelle globali.
Si riferisce alla Russia?
Sì, quando si tratta con un Paese come la Russia, che ha un sesto delle risorse mondiali, si deve avere una politica diplomatica molto forte, non come quella che abbiamo portato avanti negli anni che ha invece trascurato la situazione di dipendenza che si è andata creando. Biden e Macron hanno quindi detto quello che era già evidente: i prezzi dei prodotti alimentari aumenteranno e questo avrà degli effetti sul tasso di inflazione, ma anche sulla rarefazione delle risorse agricole a disposizione dei Paesi che non hanno i mezzi per far fronte a questi rincari. Noi riusciremo ad affrontare in qualche modo un’inflazione elevata, ma i Paesi sottosviluppati conosceranno la carestia.
Alcuni di questi sono alle nostre porte, dall’altra parte del Mediterraneo.
Esattamente: il continente africano sarà quello che soffrirà di più. Il Maghreb subirà conseguenze importanti, ma non come quelle che patiranno i Paesi dell’Africa sub-sahariana.
L’opinione pubblica europea, non foss’altro altro per il caro bollette e il caro carburanti, ha ben chiare le conseguenze del conflitto sui costi dell’energia. Secondo lei, ha contezza dei problemi che possono esserci per quel che riguarda il cibo?
Sì, perché il pane è già aumentato di prezzo, com’è accaduto per altri beni agroalimentari. Ogni volta che c’è una crisi, lo si è già visto dopo quella finanziaria del 2008, i prezzi dell’energia e dei beni alimentari aumentano.
Quello che ha detto poc’anzi sulla dipendenza europea da una nazione come la Russia, vale anche per la Cina?
Sì, siamo stupidi e abbiamo commesso l’enorme stupidaggine di renderci dipendenti da regimi dittatoriali invece che portare avanti una politica diversa. Abbiamo giocato con la globalizzazione come se fosse la fine della storia, come se non potessero più esserci guerre, né fisiche, né ideologiche. Oggi, invece, abbiamo entrambe e ci accorgiamo di essere dipendenti e ci vorrà molto tempo per provare a spezzare questo legame.
A questo punto l’Europa dovrà rivedere il suo Green Deal?
Siamo costretti a rivederlo, perché abbiamo bisogno di trovare altri fornitori di gas o altre fonti di energia più pulita. E questo richiede ovviamente del tempo, non si può improvvisare.
Gli Stati dovranno probabilmente andare incontro alle imprese e ai cittadini in difficoltà di fronte ai rincari delle materie prime, energetiche e non. E avranno bisogno di spazio fiscale per farlo…
Lo faranno, come l’hanno fatto per il Covid senza nemmeno chiedersi se fosse possibile. Altrimenti le conseguenze sull’economia e sulle famiglie saranno terribili e comporteranno dei costi molto superiori rispetto ai provvedimenti che si possono varare adesso.
Al momento della crisi dovuta al Covid è entrata però in campo la Bce, che ha dato ossigeno ai Paesi più indebitati come l’Italia, e sono state subito sospese le regole del Patto di stabilità, che ancora non è chiaro se torneranno in vigore, e in che modo, l’anno prossimo.
Non torneranno in vigore. A meno che l’Europa non sia talmente dottrinale da non valere la pena di essere costruita. Non credo sia possibile immaginare che l’Europa preferisca la dottrina al benessere della gente e dell’economia.
Dunque, secondo lei, l’anno prossimo non torneranno in vigore le regole del Patto di stabilità.
Come minimo, se non ci sarà addirittura un abbandono di queste regole stupide.
Dopo la crisi del Covid è stato anche varato il Recovery Fund. Crede che ora ci sarà qualche iniziativa analoga da parte dell’Europa?
Chi può dirlo. Con il Recovery Fund è stata aperta la strada degli Eurobond, su cui si può decidere di andare avanti. Diversamente ogni Paese proseguirà sulla propria strada, aumentando disavanzo e debito. E questo, a mio avviso, non va bene: meglio che si faccia con la benedizione dell’Europa piuttosto che con conflitti tra Paesi o tra Paesi e l’Europa. Quella degli Eurobond è la strada per un’Europa che abbia un’autorità fiscale. Il che significa un’autorità per le spese, comprese quelle per la difesa o l’energia di cui si sta parlando in queste settimane.
(Lorenzo Torrisi)
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