Avevo letto il libro di Gemma Calabresi Milite La crepa e la luce (2022, Mondadori) mesi orsono appena uscito e l’occasione di intervistarla è stata per me anomala, mai avrei pensato di doverla fare. Il libro lo avevo fatto mio riportandolo alla mia di esistenza (non paragonabile certo per i dolori e sacrifici della Sig.ra Gemma), perché ho visto l’attuarsi nella vita concreta di un’umanità cambiata dalla Fede in Gesù. E questo è quello che desidero anch’io. Son convinto che parlare di perdono sia dura, basti pensare alle situazioni meno dolorose come gli screzi sul lavoro e la… moglie. Per Gemma (oggi ospite del Meeting di Rimini) non è un sentimento o un ragionamento e partendo da questo mi sono accostato a lei, con lo sguardo di voler imparare. «Ho voluto scrivere questo libro a distanza di cinquant’anni avendo fatto un cammino di fede e di perdono, volevo proprio a un certo punto condividerlo con gli altri e testimoniarlo. Non pensavo di scriverlo, hanno insistito i miei figli. Facevo delle testimonianze già in giro, però non pensavo di scrivere, ma in molti mi dicevano di lasciare qualcosa di scritto e poi mi sembrava in effetti che tenerlo per me fosse un po’ arido e sterile e condividere invece è una gran cosa e poi nel caso mio condividere vuol dire affidare. Quindi affidare il mio cammino vuol dire: mi aiutate a non scivolare più indietro. Sono certa che questa è la strada giusta perché nel Vangelo ci viene detto in tutti i modi che si deve perdonare, inutile nascondersi quindi: affidarlo è proprio dire siamo insieme adesso, ve l’ho detto, lo sapete, mi aiutate. Ecco crea un po’ questo significato». 



Parto dall’ultimo capitolo, Una vita bellissima (pag.103). C’è un gran segno di speranza, lei scrive: L’ho amata tanto, questa vita. Così tanto che, nonostante il dolore, non la cambierei con nessun’altra.

Io questo riesco a dirlo già da un po’ di anni perché è stata una vita appunto di condivisione, una vita così intensa, così forte, così ricca di scambi di affetto, di amore con le altre persone. Anche con gli sconosciuti che mi hanno dato solidarietà, che mi hanno dato una stretta di mano, una carezza, che mi hanno scritto, hanno pregato per me. E io son convinta che senza questo mio dolore non avrei fatto quel cammino. È proprio vero che il Signore ha i suoi disegni che noi all’inizio non conosciamo ma che poi hanno uno sbocco, hanno un senso enorme.



Adesso vado invece al primo capitolo, Si può (pag. 5), dove immaginava di incontrare l’assassino di suo marito: Poi avrei allungato piano una mano verso la borsa come se mi fosse improvvisamente venuta molta voglia di fumare, ma invece delle sigarette avrei preso una pistola, e gli avrei sparato.

Per cinquant’anni non l’ho mai raccontato perché mi vergognavo e mi vergogno. Ma perché oggi l’ho detto? Perché è inutile scrivere e nascondersi dietro un dito e non dire che sono partita dal punto più basso della mia vita, più buio, più nero, con il desiderio di vendetta. Mi sembrava, che crogiolarmi in quei pensieri mi faceva stare bene, ovviamente stavo malissimo, ma in quel quarto d’ora mentre faceva effetto il sonnifero, per mesi, io facevo queste fantasie e con goduria arrivo a dirle. È brutto, ma se tu non lo racconti sei disumana, sei poco credibile, non fai vedere il tuo cammino. E mi son detta a questo punto: se mi apro devo essere trasparente e quindi devo dire da dove sono partita. Devo dare la speranza, appunto come scrivo, che si può risalire, che si può amare ancora la vita anche dopo il dolore lacerante, si può credere ancora negli altri anche dopo il tradimento e la calunnia, si può credere e cambiare opinione sulle persone che vedevi come tutto il male del mondo E quindi si può essere ancora felici. Se tu ti svegli al mattino e sei già arrabbiato e hai l’odio dentro, è un giorno perso.

Questo è stato un cammino umano e ne ha scritto dopo cinquant’anni, non è un sentimento del momento o un pensiero psicologico, è stato un percorso. Nel capitolo Dio sul divano (pag. 38) appena avuta la notizia della morte di suo marito lei ebbe una sensazione di pace e certezza: Dio ha abbracciato me, e io lui.

In quel momento è stato proprio l’amore di Dio che mi ha aiutato tantissimo perché comunque io sapevo che Lui era venuto lì, che Lui c’era e anche in tanti momenti della mia disperazione io mi dicevo: ma tu sai che Lui c’è perché l’hai sentito. Io mi reputo fortunata ad aver provato una cosa simile. Io quella mattina ho proprio ricevuto da Dio il dono della fede. Poi naturalmente ho avuto anni bui, di pianto, di sconforto, di rabbia. Mi dicevo che, come cristiana, dovevo perdonare, ma era molto difficile perché ragionavo. Non si deve ragionare sul perdono perché io ho scoperto che il perdono lo dai solo con il cuore e non con la testa, con il raziocinio, con l’intelligenza. Lo dice la parola: per-dono. È perciò un dono e lo dai con amore, non ti puoi prendere in giro. Però io questo cammino l’ho cominciato dopo aver avuto verità e giustizia, queste sono importanti sia per la democrazia di un Paese ma anche per quella di una famiglia. Ho avuto tanti chiamiamoli input, che però ho saputo leggere grazie allo Spirito Santo, non grazie a me, e mi sono rimasti dentro. Uno di questi è stato il vedere gli imputati molto affettuosi e teneri con i loro figli e pensare: sono come me, anch’io avrei fatto così. Quindi, già cominci a vederli in un altro modo, li vedi come te.

Altro passo del libro è I morti son tutti buoni (pag. 76). Un alunno le chiese: Perché, maestra, quelli che muoiono sembrano sempre bravissimi? Davvero muoiono solo le persone che non hanno mai fatto niente di male? 

I bambini sono eccezionali, è la loro purezza. Istintivamente ho risposto: certo perché noi dobbiamo ricordare di quella persona l’esempio positivo che ci ha lasciato. Vorresti essere ricordato per gli errori? Ma poi Dio nell’infinità della Sua misericordia, io insegnavo religione in quel momento, ha detto ci giudicherà per le cose buone fatte e non per i nostri errori. Uscendo dalla classe ho pensato: anche chi aveva ucciso mio marito non era solo un assassino. Son passati degli anni, avranno camminato anche loro come ho camminato io. Questa per me è stata la svolta, vederli sotto un’altra luce, ridargli la loro umanità, la loro vita con tutte le sfaccettature, la loro dignità di persone e quindi non chiamarli più solo assassini. Hanno fatto quel gesto, ma tu non puoi relegare una persona tutta la vita all’errore che ha fatto qualunque cosa sia. Questo mi ha aperto completamente un mondo è stato una svolta fondamentale

A pag. 46 in Parole scritte, racconta che sua madre pensò al necrologio Padre , perdona loro perché non sanno quello che fanno.

Il necrologio è stato molto importante. Quando l’ho recuperato, perché per anni dimenticato, lì ho detto è giunto il momento di fare mio quel necrologio che avevo firmato e accettato pensando che ero contenta di riuscire a dire parole d’amore in un momento di totale e rabbia violenza e quindi era spezzare una catena di odio. Ma era finito lì. Quando lo rileggo ora lo sento in una maniera diversa, mai nessun sacerdote me lo ha raccontato così: Gesù chiede al Padre di perdonare perché in quel momento era un uomo e si rendeva conto che sarebbe stato impossibile perdonare nel momento del dolore fisico, spirituale, dell’abbandono, del tradimento, della calunnia, della solitudine e allora ci indica questa strada, di chiedere al Padre di farlo Lui al posto nostro. È bellissimo e io mi sono sentita liberata. Ma chi può essere che me l’ha fatto leggere così quel giorno se non lo Spirito Santo? Cambia tutto letto così, è vero cambia tutto.

Un altro momento fondamentale è stato l’incontro con dei carcerati nel penitenziario di Padova, dove tre ergastolani avrebbero ricevuto i sacramenti, uno il battesimo, uno la Comunione e uno la Cresima – Un ponte si fa in due (pag 110)

Anche l’incontro nel carcere di Padova è stato fondamentale per il mio cammino di perdono. Inizialmente mi crogiolavo un po’ nell’idea che Dio era venuto da me, mi piaceva pensarlo perché ero la vittima e non pensavo neppure che nel Vangelo si legge che Gesù va da tutti. Oggi ho una certezza che Egli va da tutti e questo mi dà tanta serenità, tanta gioia. Al carcere di Padova ho provato la stessa esperienza che ho avuto sul divano.

Concludo io, ora, dopo aver scritto questa intervista. Mi son dimenticato di chiedere a Gemma da dove nasce il titolo del libro, La crepa e la luce. Un bel titolo pieno di speranza che ricorda una canzone di Leonard Cohen, Anthem (Inno):

Suonate le campane che possono ancora suonare
Dimenticate la vostra offerta perfetta
c’è una crepa in ogni cosa
È così che entra la luce.

(Daniele Boschetto)

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