“Oggi viviamo la stagione dell’interdipendenza. Tra Paesi, addirittura tra continenti. Tanto più essa è necessaria tra istituzioni della rappresentanza politica nazionale e l’articolazione istituzionale della Repubblica: Regioni, Province, Comuni”. Sono parole del presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, che, intervenendo di recente a un’assemblea dell’Anci, ha sottolineato come “il dialogo, il confronto tra livelli diversi di governo, non può essere improntato all’imposizione di una sorta di camicia di forza sul sistema delle autonomie e da una visione di tipo rivendicativo-conflittuale”.
Concetti che sono, senz’altro, piaciuti ad Adriano Giannola, presidente della Svimez, che in tema di critica all’autonomia differenziata si è molto speso negli ultimi mesi, con ragionamenti ed esortazioni sempre puntuali e rigorose a proposito degli effetti deleteri che il “regionalismo a geometria variabile” può produrre sulle condizioni del Mezzogiorno e del Paese, già gravato da un profondo divario interno.
L’associazione guidata da Giannola cura dal 1974 un Rapporto annuale sull’economia del Mezzogiorno, sempre puntuale nel segnalare le forti criticità che ne frenano lo sviluppo. Ma non dite al professore che nell’attuale dibattito sul meridionalismo la Svimez interpreta il ruolo di “Cassandra”.
L’ultima volta la provocazione è partita da Enzo D’Errico, direttore del Corriere del Mezzogiorno, chiamato a moderare una tavola rotonda durante “I Giorni del Sud”. A quella osservazione, anche perché probabilmente gli è stata indirizzata più volte, Giannola non si sottrae: “I segnali della deriva del Sud causata dalla desertificazione industriale e demografica – ribatte – non sono certo una proiezione dell’immaginario dei meridionali, ma frutto del riscontro di dati inoppugnabili, che impietosamente ci vengono segnalati dalla realtà”.
Prendiamo, ad esempio, la situazione delle università del Sud. Ci sono tanti atenei meridionali che rischiano la soppressione, perché per la loro valutazione si adotta “uno schema da Trattato di Basilea come fossero banche”, commenta l’economista con malcelata ironia. E incalza: “Del resto, non è un caso se le stesse banche del Mezzogiorno siano scomparse. Succede che, seguendo i parametri, si incontrano i problemi. E laddove sorgono problemi, si è tentati di risolverli con una sottrazione di risorse”. Insomma, se non cambiano “i parametri” – cosa che dipende dalla politica -, difficilmente si potrà contrastare quello che sta avvenendo a 20 milioni di persone. Un terzo della popolazione italiana è diventato un problema, per la cui soluzione sembra, ancora una volta, prospettarsi una sottrazione di risorse.
Giannola invece sostiene che il problema di trovare risorse per far ripartire il Mezzogiorno appartiene all’intero Paese. Ed è un problema da non trascurare, ponendolo ai margini della discussione e dell’agenda politica. Perché risolverlo non è solo nell’interesse del Sud, ma della nazione intera. E questa dovrebbe essere una preoccupazione anche del Nord, che prima o poi avrà a che fare con il tema della mancata crescita in modo drammatico.
“Quando la Banca d’Italia – spiega l’economista – prevede che nel 2060 il Mezzogiorno avrà perso 5 milioni di persone e il 40% del Prodotto interno lordo, in quello stesso frangente il Nord avrà perso, a sua volta, il 20% del Pil, anche mantenendo sostanzialmente invariata la popolazione, grazie agli immigrati e agli emigrati dal Sud”.
Siamo quindi di fronte a una vera emergenza nazionale, alla quale non si sfugge mandando a studiare i figli del Sud in Europa, perché poi accade che in pochi sono disposti a tornare. “Un altro problema drammatico – ricorda Giannola –, perché una cosa è la mobilità, ossia la ricerca di un luogo giusto dove studiare e completare la propria formazione, e un’altra è l’emigrazione, cioè la prospettiva di cambiare città e Paese in cui vivere per sempre. La mobilità è un valore, l’emigrazione spesso non è una scelta, ma una necessità”.
Eppure Apple Academy, insediata nel Polo universitario della Federico II a San Giovanni a Teduccio nell’ex fabbrica della Cirio, offre la controprova che sul terreno delle nuove professionalità la Campania è in grado di giocare un ruolo importante. Perché in capo a qualche mese alla Apple si è aggiunta, nello stesso insediamento, la Cisco Academy. Aprendo in tal modo una prospettiva al Mezzogiorno, che adesso vede in Matera la probabile meta della Huawei Academy.
“La realtà – sottolinea Giannola – ci propone il Mediterraneo come il quadrante ambizioso su cui l’Italia può misurare la conferma del suo ruolo come potenza economica mondiale e come seconda potenza industriale europea. A patto, però, che ci sia quello che la Scuola superiore di Pisa definisce Rinascimento industriale, basato sulle imprese della conoscenza e della creatività”. Ecco una prospettiva concreta per evitare l’epilogo dell’“eutanasia della questione meridionale”.
Cosa fare allora? Rispettare finalmente norme e decisioni, senza se e senza ma. Giannola rammenta che la clausola del 34% di spesa pubblica per investimenti al Sud, che il ministro De Vincenti ha introdotto a febbraio del 2017, non è ancora lontanamente applicata. E ricorda inoltre che la clausola raggiungeva il 45% quando Ciampi, negli anni Novanta del secolo scorso, iniziò la stagione della cosiddetta “nuova programmazione”.
Oggi sono in campo le Zone economiche speciali. Uno strumento collaudato in vari luoghi del Mediterraneo, ma che di fatto in Italia non sono ancora partite, nonostante siano passati dalla loro introduzione quasi due anni. Non solo: le Zes devono essere opportunamente collegate tra loro e con l’Europa, perché la dimensione globale dei mercati richiede indispensabilmente l’utilizzo di “corridoi” che uniscono il Nord al Sud, l’Est all’Ovest. Il collegamento tra le Zes di Bari-Napoli rappresenta, ad esempio, un’occasione storica di unire il Tirreno all’Adriatico per completare il corridoio che dalla Spagna conduce ai Balcani e alla Turchia. La posizione baricentrica dell’Italia nel Mediterraneo può giovarsi del corridoio Berlino-Palermo, ma a patto che si realizzi il ponte sullo Stretto di Messina. E poi c’è ancora la direttrice che da Taranto conduce a Gioia Tauro, altro corridoio di questo genere.
Così può nascere un’area quadrilatero abitata da 10 milioni di persone, dotata delle necessarie infrastrutture come aeroporti internazionali e interporti. “E tutto questo – afferma Giannola – a prescindere dalla Cina e dalla Nuova Via della Seta, alla quale ovviamente è necessario integrarsi, ma non in un’ottica di subalternità, viceversa per essere oggettivamente la piattaforma logistica dentro questo sistema”.
Manca anche la ferrovia Napoli-Bari. Perché, come sostiene il presidente di Invitalia, Domenico Arcuri, il problema italiano è la scarsità della risorsa tempo. Risorsa che continuiamo irresponsabilmente a sprecare. Che vuol dire? L’Italia dovrebbe realizzare l’alta velocità Bari-Napoli in un anno, come fanno in Cina, dove impiegano appena tre mesi per completare autostrade e grattacieli. “Se non ci sarà questo cambio di passo – conclude Giannola – sarà per scelta della nostra classe dirigente. Anzi, mi correggo: sarà una responsabilità della classe dominante. Che è ben altra cosa dalla classe dirigente”.
(Noemi Pannico)