“Questi giovani odiano la polizia e la polizia ha una forma di ostilità verso questi ragazzi. Siamo di fronte a un problema strutturale di povertà ed esclusione”. Le rivolte in Francia si sono calmate ed è giunto il momento di capire le ragioni della rabbia di una parte della gioventù francese e le ripercussioni sociali e politiche di questi disordini.
Per aiutarci, abbiamo intervistato Marc Lazar, professore emerito di storia e sociologia politica, titolare della cattedra di “Relazioni italo-francesi per l’Europa” alla Luiss e presidente dell’advisory board della Scuola di Governo dell’Università Luiss di Roma. È specializzato nella sinistra europea, nella politica francese e italiana e nei populismi contemporanei.
In nessun’altra parte d’Europa stiamo assistendo a simili esplosioni di violenza e di rifiuto dell’autorità. La morte del 17enne Nahel sembra aver acceso la polveriera che è oggi la periferia. Quali sono le ragioni di questa deflagrazione?
Ci sono diverse spiegazioni possibili per i disordini scatenati dalla morte del giovane Nahel. La prima è senza dubbio la ghettizzazione di questi quartieri dove si concentrano popolazioni precarie, per lo più di origine immigrata. Nonostante le politiche urbane dei vari governi e i miliardi investiti per ammodernare gli alloggi, i trasporti pubblici e creare scuole (nel 2020 la Cour des Comptes ha stimato che sono stati investiti 50 miliardi di euro), questi quartieri rimangono aree separate, “territori perduti della Repubblica” per usare il titolo di un noto libro, dove gli stessi residenti si sentono dimenticati. In queste periferie la popolazione è tre volte più povera della media nazionale, ci sono tre volte più famiglie monoparentali, molte più persone di origine straniera, immigrati, ed è una popolazione giovane. Questi giovani, in particolare, si sentono rifiutati dalla società e si pongono essi stessi ai margini, in dissidenza. Si sentono discriminati e hanno buone ragioni per pensarlo. Quando si vive in questi quartieri, è più difficile trovare un lavoro e inserirsi: è un dato di fatto. A questo si aggiunge un problema con la polizia. Non credo a un razzismo sistemico della polizia, ma a volte c’è un comportamento razzista da parte di alcuni agenti. Questi giovani odiano la polizia e la polizia ha una forma di ostilità a questi ragazzi. Siamo di fronte a un problema strutturale di povertà ed esclusione.
Il modello francese di integrazione non funziona più?
Le scuole non svolgono più il loro ruolo di integrazione graduale e la situazione economica è complicata. La transizione da un’economia industriale a una post-industriale significa che l’economia non riesce più ad assorbire ondate di immigrazione come nel passato. La Francia si è de-industrializzata, molto più dell’Italia e della Germania, e le persone che al loro arrivo in Francia trovavano un lavoro (certo poco qualificato e poco retribuito, ma che consentiva l’integrazione) ora sono in difficoltà. A questo si aggiunge il problema dell’adesione ai valori della Repubblica, della Francia. Alcuni di questi figli di immigrati arrivano dalle ex colonie con la convinzione che la Francia coloniale era razzista ed è rimasta tale. Sono francesi ma per loro resta il problema dell’integrazione. Una buona parte si integra, lavora, crea imprese, ci sono matrimoni misti, ma c’è una minoranza visibile, attiva, pronta alla violenza e all’insurrezione.
Chi è questa minoranza? Chi sono questi giovani?
Abbiamo studiato i giovani di età compresa tra i 18 e i 24 anni in un’indagine intitolata “Une jeunesse plurielle” che ho condotto con il sociologo Olivier Galland nel 2021. Tutti i giovani, soprattutto quelli di origine straniera, sono ostili alla polizia. A maggior ragione in questi quartieri dove i servizi pubblici sono in declino, i giovani si sentono discriminati e rifiutati dalle scuole che non sono in grado di offrire un orientamento adeguato. Sono totalmente disaffezionati alla politica e hanno sviluppato una cultura della violenza, con un’altissima propensione ad accettarne l’uso. Il ministero dell’Interno stima che tra gli 8mila e i 12mila giovani abbiano preso parte alle rivolte. Sono francesi ma non si riconoscono come tali, e anzi sentono che la società non li riconosce come tali. Non si considerano nemmeno algerini, marocchini o senegalesi. C’è una vera e propria perdita di identità. Il traffico di droga e l’economia parallela che si crea intorno contribuiscono a creare un terreno fertile per la violenza e la devianza tra queste persone.
Quando sono state abbandonate le periferie?
È stato molto tempo fa. La Francia, come tutti i Paesi europei, ha bisogno di immigrazione. Abbiamo accolto ondate successive di immigrati senza riuscire a risolvere il problema della diversità sociale. Al contrario, viviamo in società sempre più compartimentate. Vogliamo un mix sociale ma non appena si inizia a parlare di distribuzione delle popolazioni, il movimento si blocca. Di conseguenza, questi quartieri sono diventati dei ghetti per i gruppi più svantaggiati che non riescono ad andare avanti e per i nuovi immigrati (c’è un forte turnover). Il risultato è una spirale di esclusione, talvolta alimentata da associazioni, specialmente quelle dell’islamismo radicale molto presente in queste zone, che favoriscono un clima ostile nei confronti della Repubblica. Le nozioni di uguaglianza e fraternità che sono alla base della nostra società sono violentemente rifiutate da queste popolazioni che non le comprendono. Così, durante le rivolte, hanno attaccato edifici simbolo della Repubblica, arredi urbani che rappresentano il loro ambiente e hanno saccheggiato negozi perché attratti da una società dei consumi a cui non sempre hanno accesso. La sfiducia e l’odio verso la polizia hanno aumentato le tensioni.
Anche la polizia è un problema?
Nella polizia la tensione è palpabile, poiché teme lo scontro a ogni intervento. In risposta, i sindacati di polizia sono diventati più radicali, come si legge nei vari comunicati stampa rilasciati durante le rivolte. C’è una dimensione nichilista in questa crisi, un “No Future” che ha portato al desiderio di distruggere tutto. Gli scontri hanno coinvolto una minoranza della popolazione ma il sentimento di casta riaccende la solidarietà tra i giovani ad ogni incidente.
Gli appelli alla disobbedienza di alcuni eletti, la mancanza di senso civico all’Assemblea nazionale e la costante messa in discussione dell’autorità hanno forse incoraggiato la violenza di questi giovani?
No, non credo che ne abbiano bisogno, e del resto i pochi eletti della France Insoumise che hanno voluto visitare le periferie dopo la morte di Nahel non erano i benvenuti e sono stati rigettati dai giovani. D’altra parte, con le mobilitazioni dei Gilet gialli, quella contro la riforma delle pensioni e infine queste rivolte, abbiamo assistito a tre movimenti sociali che hanno mobilitato popolazioni molto diverse tra loro, ma in cui abbiamo trovato un denominatore comune. “Tutti odiano la polizia” e c’è un’idea condivisa che in Francia c’è un solo modo per ottenere qualcosa: la violenza. Questo dimostra un problema di mediazione in un Paese sempre più spaccato e indica un clima molto preoccupante in cui l’accettazione dell’uso della violenza è presente in gran parte della società. I consiglieri locali che sono in prima linea, i sociologi sul campo e le associazioni avevano avvertito di questa situazione, ma non sono stati ascoltati.
Come i francesi percepiscono queste rivolte? Lo vedono come un problema che riguarda solo le periferie o sta emergendo una responsabilità collettiva?
È ancora presto per dirlo, ma i sondaggi sulla popolazione rivelano un ampio sostegno alle forze dell’ordine. Lo prova il fondo istituito da un esponente dell’estrema destra a sostegno della famiglia del gendarme che ha raccolto più di 1,6 milioni di euro in pochi giorni. I francesi sono passati rapidamente dalla condanna dell’omicidio “imperdonabile e inspiegabile”, secondo le parole di Emmanuel Macron, alla condanna della violenza, dei danni e dei saccheggi. Anche nelle periferie ci sono persone che conducono una vita normale e chiedono sicurezza e ordine. Si sentono doppiamente vittime dal danno arrecato al loro ambiente di vita e questo potrebbe avere importanti conseguenze politiche. Per la popolazione è stata superata una linea rossa e il partito che probabilmente ne beneficerà maggiormente è il Rassemblement National di Marine Le Pen.
Le rivolte hanno rimescolato le carte in tavola? Chi ci rimette di più?
L’atteggiamento e le dichiarazioni ambivalenti della France Insoumise hanno causato grandi divisioni all’interno della nuova alleanza di sinistra. Il partito di Jean-Luc Mélenchon pensava di cavalcare l’onda della rivolta, sostenendo anche i rivoltosi, ma rischia un vero e proprio contraccolpo. I Repubblicani (Les Républicains) di Eric Ciotti stanno assumendo una posizione estremamente dura nei confronti dei rivoltosi. Bruno Retailleau, presidente del partito LR al Senato, ha parlato di “regressione etnica” per descrivere questi giovani, che considera francesi solo sulla carta. I Repubblicani stanno cercando di riconquistare uno spazio politico ma sono combattuti tra il Governo indebolito ma resistente di Macron da una parte e il Rassemblement National di Le Pen e il partito Reconquête di Éric Zemmour, ai quali cercano di rubare voti sollevando di nuovo la questione della decadenza di nazionalità. È una scommessa rischiosa per LR, e anche pericolosa, perché spesso serve più all’estrema destra di Le Pen e favorisce un clima di radicalizzazione politica estremamente preoccupante. Il Rassemblement National potrebbe beneficiare da questa crisi. Molto abilmente Marine Le Pen non ha alzato la voce, non ha corso per gli studi televisivi. Si è limitata a ribadire il messaggio che il suo partito ha sempre portato avanti: il problema è l’immigrazione e con il RN al potere non ci sarebbero difficoltà a mantenere l’ordine pubblico.
La stampa estera ha commentato i disordini evocando una Francia ostile, ingovernabile, uno Stato neocolonialista che persegue le sue minoranze ed emargina generazioni di immigrati. Come viene vista la Francia al di fuori dei nostri confini?
L’immagine della Francia è stata danneggiata. È vista come un Paese strano, pericoloso e ingovernabile, e i media e i social network hanno amplificato questo. Con la Coppa del mondo di rugby del prossimo autunno e soprattutto con i Giochi olimpici del 2024, la Francia sarà osservata da milioni di stranieri e la sfida per il Paese è ovviamente alta.
Giorgia Meloni, solitamente molto critica nei confronti di Macron, non ha commentato la crisi. Perché?
Giorgia Meloni non si è espressa sull’argomento perché lei ed Emmanuel Macron hanno bisogno l’una dell’altro, per ovvie ragioni di partnership economica e commerciale e anche per ragioni legate all’Europa. Il fatto che ci siano convergenze, in particolare sulla rinegoziazione dei criteri del Trattato di Maastricht, sulle questioni di autonomia strategica e di difesa, e sulle questioni di sostegno all’Ucraina, spiega perché, nonostante le differenze politiche, i due governi stiano lavorando insieme. Questa è Realpolitik e la recente visita della Meloni a Parigi lo ha dimostrato molto bene.
Gli economisti hanno appena pubblicato un manifesto che invita “cittadini, imprese e associazioni” a proporre soluzioni dalla base. È un appello alla solidarietà, a ricreare un legame sociale sul territorio più utile dei miliardi investiti nei piani delle periferie. Possiamo immaginare uno slancio nazionale dopo i saccheggi e gli atti di vandalismo?
C’è una reale preoccupazione per il grado di frammentazione, polarizzazione e radicalizzazione politica, sociale e culturale in Francia. Non siamo sull’orlo di una guerra civile, come alcuni hanno scritto, ma la situazione è molto preoccupante. I politici hanno una responsabilità ma anche ognuno di noi, a tutti i livelli. Dobbiamo riallacciare i fili tra le diverse componenti della società e costruire ponti tra le comunità.
(Carole Rinville)
— — — —
Abbiamo bisogno del tuo contributo per continuare a fornirti una informazione di qualità e indipendente.