Si definisce un poeta dentro un corpo da boxeur. Spalle larghe da nuotatore olimpionico, testa volutamente rasata per nascondere la calvizie, eloquio forbito, spesso lirico, che non tradisce la sua origine romana, Fabio Rampelli, vicepresidente della Camera dei deputati, nome storico della destra sociale nata e cresciuta nella capitale come laboratorio metapolitico già negli anni 80, è un po’ prigioniero della sua immagine da “duro”. In realtà, dice, “sono un poeta in un corpo da boxer”. Ma Rampelli non è poeta, è un architetto, e se la professione non la svolge per via del suo impegno politico “da militante permanente”, non rinuncia a quello che fa un architetto: costruire “case”. Case politiche. “Senza Rampelli, e la sua capacità di tessere relazioni e prevedere gli scenari – dice un osservatore esterno – Fratelli d’Italia non sarebbe nata”. Se Giorgia Meloni è la front woman – prima donna segretaria di partito e per giunta un partito di destra – Rampelli è l’ideologo di quello che oggi è l’unico movimento che cresce e non viene eroso dall’ascesa compulsiva del Carroccio.
Presidente Rampelli, dalle ultime elezioni amministrative il centrodestra vince unito. A livello nazionale, però le cose stanno diversamente. C’è la possibilità che cambi qualcosa con le prossime elezioni europee?
Fratelli d’Italia è l’opposizione patriottica. All’inizio avevamo difficoltà a far capire la nostra posizione, perché di fronte a un governo che per metà è costituito da un alleato storico con il quale abbiamo scritto insieme il programma – soprattutto quello economico – è evidente che la nostra non poteva essere un’opposizione pregiudiziale. Le persone hanno capito bene la nostra posizione, tanto che continuiamo a crescere. Siamo distanti dalla cifra comunicativa di Salvini, che si presta di più a derive propagandiste che non risolvono i nodi della crisi del nostro tempo. Ma se a livello regionale l’alleanza trova le sue strade, direi naturali, la questione a livello nazionale sta decisamente degenerando. Il governo Lega-Cinquestelle sta cannibalizzando quel poco di speranza che restava in Italia. Le europee saranno una cartina di tornasole sulla quale si rifletterà il bilancio politico di questa esperienza che sta arrivando agli sgoccioli tra i due partner di governo.
Si riferisce al calo dei consensi da parte del M5s?
Sì anche. Il movimento di Grillo sta deludendo i suoi elettori per la manifesta incapacità di governare. La Lega ha un problema diverso e più profondo: la politica economica. La scelta di aver sacrificato la riforma fiscale, con l’introduzione della tassa piatta, per fare il reddito di cittadinanza sta mettendo a durissima prova i ceti produttivi del Nord Italia, che hanno avuto nella Lega – non a caso Lega Nord… – il loro punto di riferimento politico. Se Forza Italia sta attraversando problemi connessi alla leadership del suo fondatore, Salvini sta seriamente compromettendo la possibilità di intercettare il voto moderato, a causa sia delle scelte economiche sbagliate sia per quell’incapacità di capire il valore del dialogo e del confronto che ha nella dottrina sociale della Chiesa i suoi fondamenti irrinunciabili. In questo scenario, gli unici a non tradire gli italiani siamo noi. Fedeli alla nostra linea: economia sociale di mercato, libertà individuale, difesa della famiglia tradizionale, infrastrutture e, sempre, Mezzogiorno nella cornice unitaria. Il Sud per noi è Italia. Scontato? Non direi…
Ecco, questo è il tema centrale: la sua battaglia sul regionalismo differenziato. Proprio giovedì scorso si è tenuto un consiglio dei ministri a Reggio Calabria. Che ne pensa?
Guardi, per me Palazzo Chigi potrebbe pure trasferirsi a Reggio Calabria o a Palermo. Non è questo il punto. Il punto è che il regionalismo differenziato non può essere attuato come desidera Salvini. Semplice. E su questo c’è un’ampia condivisione di strategia anche con il presidente della Camera, Roberto Fico, con la presidente del Senato, Maria Elisabetta Casellati, e con il presidente della Repubblica, Sergio Mattarella.
Ma perché è così contrario a questo processo di devoluzione dei poteri? Eppure il decentramento è sempre stato uno dei temi storici del centrodestra…
Qui non si tratta di decentramento, ma di secessione bianca. Il problema nasce dalla riforma del Titolo Quinto, approvata alla fine della XIII legislatura che, come hanno sempre evidenziato le relazioni della Corte costituzionale e dei tribunali amministrativi, Tar e Consiglio di Stato, ha enormemente aumentato i conflitti tra Stato centrale e Regioni. La riforma fu scritta male, e ora si rischia di fare peggio.
In che senso?
L’articolo 116 della Costituzione, quello che riconosce la possibilità di attuare il regionalismo differenziato, di fatto sta costituendo – in mano ai leghisti – il grimaldello per sfasciare lo Stato sin dalle fondamenta, perché si consente alle Regioni di avviare procedure senza che il Parlamento sia minimamente coinvolto. In sostanza, ogni Regione può chiedere le competenze che vuole, come fossimo al supermercato. Oggi Lombardia e Veneto hanno chiesto 21 materie da rivendicare subito, l’Emilia Romagna molte di meno con la possibilità di scaglionarne l’applicazione. Qui siamo al self service del regionalismo. In tutto questo, il Parlamento si troverebbe impossibilitato a emendare le intese tra Regioni richiedenti e Governo.
Con quali effetti?
Ci troveremmo con 20 Regioni ognuna con le proprie diverse competenze, 5 Regioni a statuto speciale, una delle quali ha anche due province autonome (Trento e Bolzano), 14 città metropolitane, tra cui Roma Capitale priva ancora di un’autonomia giuridica ed economica degna delle capitali europee, e un’area, quella del Mezzogiorno, che mostra dati socio-economici allarmanti. Ricordo a me stesso prima che a tutti i cantori delle magnifiche sorti e progressive del federalismo che il valore irrinunciabile dell’unità d’Italia è accompagnato a un altro valore irrinunciabile: quello dell’uguaglianza dei cittadini di fronte alla legge.
Quindi?
Questa uguaglianza può essere garantita solo se il Parlamento sarà in grado di esaminare ed emendare il regionalismo differenziato. Questo spiega il perché della mia proposta di legge sul 116. Nessuno può scavalcare il Parlamento, al quale soprattutto nessuno può conculcare le sue funzioni primarie: emendare e approvare/bocciare. Nessun via libera, dunque, a processi extra legem ed extra-parlamentari. In tutto questo, noi vorremmo più autonomia dei Comuni, che sono il vero primo approccio dei cittadini con l’amministrazione pubblica, e la gente la pensa come noi, ma a certi politicanti serve gestire direttamente dei carrozzoni e le loro economie, non potenziare i Comuni che non controlleranno mai…
Quanto incide in questa scelta la questione economica e infrastrutturale del Mezzogiorno?
Questa è la madre di tutte le battaglie. Il Nord è stato infrastrutturato nel secondo dopoguerra, affinché l’Italia, isolata dall’Europa a causa della cortina alpina, fosse collegata con le nazioni ricche del continente. Queste infrastrutture sono state fatte con i soldi di tutti i contribuenti, compresi i calabresi o i siciliani… Però il confronto sulla cartina geografica tra la rete autostradale e ferroviaria di Nord e Sud è terribile. Inaccettabile. Allora dove sta questa uguaglianza se un’azienda del Sud per arrivare ad Amburgo non può utilizzare la rete di Alta velocità, se a Matera non arriva un treno decente né un aereo, se per arrivare da Trapani a Messina si viaggia su un solo binario o su un’unica strada dissestata?
Tutto questo avviene in un momento, peraltro, in cui la ricchezza, i traffici commerciali tornano ad attraversare il Mediterraneo, partendo dalla Cina e passando per il Canale di Suez…
Ma questa ricchezza, ben mille container al giorno, invece di fermarsi nei nostri porti, oltrepassa le colonne d’Ercole, lo stretto di Gibilterra e arriva dopo ben 6 giorni in più di viaggio nei porti di Rotterdam, Amburgo e Anversa. Sogno uno Stato in cui gli agrumi di Vittoria arrivino a Berlino il giorno dopo.
È vero che declama poesie?
Ma chi glielo ha detto?… Sì, poesie, ma anche strofe di canzoni. Aforismi, pensieri di scrittori. Insomma, sono come stelle che ci accompagnano nel nostro universo e possono sottolineare la non banalità di una convinzione estemporanea. Incoraggiano e fanno sentire in compagnia delle più grandi persone della storia.
Qual è oggi quella che ripete spesso?
“La politica non è altro che la difesa della comunità reale a cui uno appartiene. Chi non si difende è destinato a sparire”. E’ del pensatore tedesco Paul Ludwig Landsberg, morto nel campo di concentramento di Oranienburg-Sachsenhausen nel 1944. E nessuno mi toglierà mai dalla mente che tutti gli uomini di valore, anche se con idee diverse, sono fratelli.
(Antonio Saladino)