Anche quest’anno tra gli ospiti del Meeting di Rimini c’è Luigi Sbarra. Il Segretario generale della Cisl, che abbiamo raggiunto prima della sua partenza per la Romagna, prenderà parte a due incontri, uno in programma quest’oggi (Sala Conai A2, ore 19:00) e uno previsto per domani (Sala Neri Generali-Cattolica, ore 12:00).
“È bene che la famiglia non sia sola. Sostenere alleanze vive” è il tema del primo incontro cui prenderà parte al Meeting di Rimini. Ritiene che la famiglia sia sufficientemente sostenuta dalla politica? E cosa pensa della scelta della Commissione europea di deferire l‘Italia alla Corte di giustizia Ue per l‘Assegno unico?
La famiglia è il pilastro della nostra società, ma anche l’architrave economico della comunità nazionale. Purtroppo, non sempre è stata adeguatamente sostenuta dalle politiche pubbliche. Le misure adottate finora, come l’Assegno unico, sono passi nella giusta direzione, ma non sufficienti. È necessario un impegno più deciso per favorire la conciliazione tra lavoro e vita familiare, il sostegno alla natalità e la lotta alla povertà educativa, potenziando anche la rete dei servizi. Per quanto riguarda la decisione della Commissione europea, riteniamo che si debba lavorare per trovare una soluzione che contemperi approccio universale, coerenza con le norme comunitarie, equità, senza trascurare il rafforzamento della misura specialmente per le famiglie meno abbienti e per quelle più numerose.
“Made in Italy e filiere produttive” è invece il titolo del secondo incontro cui prenderà parte al Meeting. La manifattura è cruciale per l‘economia italiana, ma sembra attraversare un momento di difficoltà, pensiamo anche ai casi ex Ilva e Stellantis: come aiutarla? Serve un patto tra imprese, sindacati e Governo come in passato?
Senza dubbio. La manifattura è il cuore pulsante dell’economia italiana, e il Made in Italy un architrave insostituibile, che nel 2023 ha permesso all’export di toccare 420 miliardi, nel primo trimestre dell’anno in corso abbiamo superato anche il Giappone e al netto dei beni energetici siamo al terzo posto su scala mondiale. Tuttavia, alcune difficoltà sono evidenti, specialmente nei casi di grandi aziende come quelle citate. Il Governo sta sviluppando alcune riforme apprezzabili, tra cui il disegno di legge sull’intelligenza artificiale, sulle terre rare e la legge di riforma degli incentivi alle imprese. Ma serve un intervento organico per una politica industriale adeguata ai tempi, la cui definizione dovrebbe essere demandata a un patto tra imprese, sindacati e Governo. Bisogna rilanciare investimenti, innovazione tecnologica, infrastrutture, produttività e formazione professionale, con un occhio di riguardo alla partecipazione e alla sostenibilità ambientale e sociale.
Cosa pensa della possibilità che in Italia possa aprire uno stabilimento di uno o più marchi cinesi di auto?
Pensare che il consolidamento dell’esistente e un possibile “scouting” su un nuovo produttore siano obiettivi alternativi è sbagliato. Si possono percorrere parallelamente entrambe le vie. Nessun pregiudizio, né impostazione protezionistica dalla Cisl. L’apertura di uno stabilimento di un marchio cinese in Italia potrebbe rappresentare un’opportunità per il nostro Paese, specialmente in termini di creazione di posti di lavoro e trasferimento di know-how tecnologico. Naturalmente è fondamentale porre condizionalità stringenti di natura sociale e contrattuale. E cioè che questa eventualità avvenga nel rispetto delle regole del mercato del lavoro italiano e degli standard sociali europei. Inoltre, dovremmo assicurarci che vi sia un reale beneficio per le filiere produttive italiane, evitando che l’Italia diventi semplicemente un sito di assemblaggio, e si confermi piuttosto parte integrante di un processo produttivo di alta qualità.
Quanto le nostre filiere produttive rischiano dai processi di transizione decisi a livello Ue? Pensa che la nuova Commissione, che ha il supporto importante dei Verdi, avrà un approccio più pragmatico rispetto al recente passato?
La transizione verde e digitale, se affiancata da adeguate politiche di protezione sociale, rappresenta una sfida fondamentale per incrementare produttività, sostenibilità, qualità occupazionale. È essenziale che l’Europa non lasci indietro nessuno, istituendo un fondo sovrano per riconversioni tutelate che accompagnino gradualmente il processo di adattamento per i settori ad alta intensità energetica. La nuova Commissione deve adottare un approccio pragmatico, che consideri le specificità dei singoli Paesi connetta gli interventi a una politica industriale realmente comunitaria, mettendo a sistema le tessere di un puzzle manifatturiero che oggi occupano in ordine sparso i tavoli di Bruxelles. Bisogna fare sinergie reali su ricerca e sviluppo e moltiplicare gli investimenti nelle tecnologie abilitanti. Solo a livello europeo possiamo perseguire la necessaria “autonomia strategica”, rafforzando le nostre specializzazioni in un’economia mondiale sempre più frammentata.
Il mondo sindacale, inutile nasconderlo, appare più diviso che in passato. Cosa pensa delle scelte di Cgil e Uil che raccolgono firme e manifestano contro autonomia, Jobs Act e parlano anche di tavoli finti con il Governo?
Il pluralismo sindacale è una ricchezza quando nessuno si ammanta di un improbabile e antistorico ruolo egemonico. Cgil e Uil percorrono oggi, con i referendum, una strada legittima, ma in cui noi percepiamo venature ideologiche, che deresponsabilizzano il sindacato depotenziando la sua capacità di stare ai tavoli, che sono stati e sono reali. Sul Jobs Act, sono i numeri a parlare. La crescita dell’occupazione dopo l’emergenza sanitaria ha generato un saldo positivo di oltre 900 mila posti rispetto al 31 dicembre 2019, con una forte contrazione dei rapporti a tempo determinato (-240 mila unità). Si riduce inoltre il bacino di disoccupati e inattivi. Il problema non è dunque nello stock, ma nella capacità del lavoro di esprimere valore aggiunto e quindi anche di essere meglio pagato. Significa politiche attive, formazione, competenze e un nuovo Statuto della persona nel mercato del lavoro. Quanto all’autonomia noi siamo con Sabino Cassese e diciamo che la Legge Calderoli va cambiata e migliorata, ma senza furori “giacobini”. Nessun referendum può cambiare il principio iscritto nel 2001 con l’articolo 116 della Costituzione. Si tratta di dare a quel dettato un quadro regolatorio equo e solidale, che rafforzi l’unità nazionale, finanziando i Lep, istituendo una adeguata perequazione nazionale, lasciando fuori scuola e contrattazione e sottoponendo ogni intesa regionale a un accordo concertato con le parti sociali.
E per quanto riguarda il premierato?
Anche qui bisogna ragionare senza ideologie, senza elmetto in testa. Non si può negare che nodi di sistema da sciogliere ci siano, che la durata dei Governi sia troppo breve e che le logiche di corto respiro penalizzino l’efficacia di ogni azione riformatrice. Ma governabilità, stabilità e velocità decisionale che oggi sono richieste alle democrazie per il loro stesso bene devono essere accompagnate da pluralismo, partecipazione, pieno riconoscimento della rappresentanza, centralità del Parlamento e piena salvaguardia del ruolo del capo dello Stato.
Nonostante il recente dato Ocse sul recupero dei redditi reali delle famiglie italiane, resta un problema salariale nel nostro Paese, soprattutto nel raffronto con il periodo pre-Covid. Come affrontarlo? Che ruolo dovrebbero avere i sindacati?
Il problema salariale in Italia è una questione complessa che richiede un approccio multifattoriale. Bisogna agire sui nodi economici che la determinano, senza consegnarsi a formule demagogiche e controproducenti come un quantum di Stato uguale per tutti e slegato dai Ccnl, che farebbe uscire migliaia di aziende dalle relazioni industriali, incrementerebbe il nero, schiaccerebbe verso il basso le retribuzioni medie. Ci sono tre questioni da affrontare. Primo: rinnovare tutti i contratti pubblici e privati. Se in molti settori abbiamo sofferto di retribuzioni non adeguate questo lo si deve a veti datoriali che hanno bloccato la dinamica salariale. Secondo fattore: le tasse ancora troppo alte. Occorre redistribuire il carico a sostegno delle fasce medie e popolari del lavoro subordinato e occorre restituire le risorse drenate in questi anni dal fiscal drag. Terza direttrice: la crescita debole e la produttività al palo. Bisogna sbloccare gli investimenti, generare nuovo valore aggiunto, aggregare un sistema produttivo estremamente polverizzato, elevare e redistribuire sulle buste paga la ricchezza prodotta. In questo senso è determinante incentivare la contrattazione aziendale e territoriale, con accordi di produttività e modelli di organizzazione del lavoro innovativi, flessibili, dove il lavoratore abbia maggiore voce in capitolo.
La Legge di Bilancio si avvicina. Quali sono le vostre richieste?
Innanzitutto avanziamo una questione di metodo: al Governo chiediamo di convocarci subito per poter discutere insieme del piano pluriennale di riforme e investimenti da consegnare alla Commissione europea a metà settembre. Si tratta di un documento strategico per individuare priorità d’intervento negli anni a cavallo del Pnrr. Deve partire subito un dialogo responsabile, pragmatico, essenziale per convergere su obiettivi comuni che si chiamano crescita e sostenibilità sociale, innovazione e formazione, nuove tutele e coesione, partecipazione e centralità del lavoro stabile, dignitoso, produttivo.
E nel merito della manovra? Il Governo intende prorogare il taglio del cuneo fiscale. Quale altre misure ritenete prioritarie?
È un intervento assolutamente positivo, che la Cisl ha chiesto per prima e che oggi va confermato insieme ad altre misure. Penso al bisogno di dare continuità all’accorpamento delle prime due aliquote Irpef e alla defiscalizzazione sui frutti della contrattazione decentrata, da estendere anche ai settori pubblici, a partire da fringe benefit, premi di risultato, accordi di produttività e welfare negoziato. Occorre mettere in campo risorse vere per la famiglia e per le politiche sociali, assicurare l’indicizzazione piena delle pensioni in essere, rafforzare l’intervento su pubblico impiego, sanità, scuola, enti locali e ricerca. Ci sono da rinnovare subito i contratti pubblici e c’è da spingere sull’acceleratore delle politiche industriali, delle infrastrutture e del terziario allargato. Chiediamo interventi a favore di famiglia e natalità, con risorse adeguate per attuare e finanziare la legge sulla non autosufficienza. Va infine ripreso il dialogo su una previdenza più inclusiva e socialmente sostenibile, puntando in particolare su pensioni di garanzia per i giovani e sostegno alla previdenza complementare.
Contrasto al caporalato e sicurezza sul lavoro. Sono stati a suo avviso compiuti passi avanti su questi importanti fronti?
Si sono fatti passi avanti, ma c’è ancora molta strada da fare. Le recenti leggi approvate, fortemente rivendicate dalla Cisl, rappresentano un progresso, a cominciare dalla patente a crediti per le aziende. Ma l’attuazione di queste misure va accelerata, concertata e monitorata attentamente, accompagnandola da un ulteriore rafforzamento dei controlli, delle sanzioni, degli investimenti sulla prevenzione, a partire dall’utilizzo pieno e strutturale dell’avanzo di bilancio Inail. Risorse dei lavoratori e delle imprese che devono finanziare progetti ed elevare rendite per le vittime e le loro famiglie. Occorre dare più voce in capitolo alle rappresentanze dei lavoratori e dare spazio alla partecipazione, attivando in chiave sicurezza i comitati paritetici istituiti durante gli anni neri del Covid. Sul caporalato, abbiamo una legge, la 199, che l’Europa ci invidia, ma che resta in parte inattuata. Dobbiamo darle piena operatività, sostenendo le adesioni alla Rete di Qualità e dando alle parti sociali e alla bilateralità più protagonismo nell’orientare controlli e nel governare il mercato del lavoro agricolo. Serve un’intesa che faccia remare aziende, sindacato e istituzioni nella stessa direzione, nella consapevolezza che un’impresa più sicura, in cui si esercita partecipazione, oltre a essere più giusta è anche più produttiva.
In Italia il mercato del lavoro sta vedendo un costante aumento dell‘occupazione degli over 50, mentre quella giovanile migliora, ma sembra ancora non decollare come potrebbe. Cosa fare di fronte a questa situazione?
La crescita dell’occupazione tra gli over 50 è un segnale positivo, ma è preoccupante che i giovani continuino a trovare difficoltà a inserirsi stabilmente nel mercato del lavoro. Per affrontare questa situazione è necessario incentivare maggiormente le politiche attive del lavoro, come l’apprendistato e i tirocini, garantendo che siano strumenti formativi e non solo modalità di impiego precarie. Inoltre, occorre facilitare la transizione scuola-lavoro con percorsi di orientamento più efficaci e mirati. La questione dei salari è altrettanto cruciale: se i giovani continuano a percepire stipendi bassi e senza prospettive di crescita, sarà difficile trattenere i talenti nel nostro Paese.
La proposta di legge sulla partecipazione promossa dalla Cisl è stata fatta propria dai partiti della maggioranza. Riuscirà a essere approvata prima della fine della legislatura?
Confidiamo che possa essere approvata entro pochi mesi. Siamo davvero a un punto di svolta. Il ministero del Lavoro ha dato il via libera ai pareri sugli emendamenti in commissione. Ora il testo è al Mef per l’analisi sulla copertura. Bisogna accelerare per permettere una rapida approvazione in un clima bipartisan, in modo da cambiare il nostro modello economico nel segno della sostenibilità sociale e del protagonismo del mondo del lavoro. Ci sono tutti i presupposti per dare finalmente attuazione all’articolo 46 della Costituzione, esaltando la contrattazione, proiettando nel futuro le relazioni industriali e sociali, rafforzando la democrazia economica e il coinvolgimento dei lavoratori nella vita e agli utili aziendali, aumentando produttività e coesione.
(Lorenzo Torrisi)
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