L’Italia sta lavorando per portare la Russia ad una conferenza di pace. Ma “dev’essere una trattativa che serva a sancire la fine della guerra e la libertà dell’Ucraina, non la resa a chi lo ha invaso”. Le armi italiane? “Vanno adoperate solo in territorio ucraino”, spiega Antonio Tajani, ministro degli Esteri nel Governo Meloni e segretario nazionale di Forza Italia.
Oggi Tajani sarà al Meeting per parlare di pace con Vincenzo Paglia, presidente della Pontificia Accademia pro Vita. Parlando con il Sussidiario, il titolare della Farnesina si sofferma anche su Medio oriente, Libia (“servono elezioni parlamentali e presidenziali”) e sul delicatissimo fronte del Sahel.
I nostri aiuti all’Ucraina hanno sollevato finora parecchi interrogativi relativi all’impiego offensivo delle armi. Ci ricorda qual è la posizione del governo in proposito?
Ogni paese della Ue decide per conto proprio e l’Italia non ha mai dichiarato guerra alla Russia. Un conto è difendere legittimamente il proprio territorio, un altro è attaccare la Russia. E noi rimaniamo fermi sulla linea della sola difesa.
E quali limitazioni abbiamo posto?
Il governo italiano per gli aiuti militari offerti all’Ucraina ha chiesto che i sistemi vengano adoperati all’interno del territorio ucraino. L’Ucraina però ha tutto il diritto, anche da un punto di vista delle leggi internazionali, di difendersi come meglio ritiene.
Cosa sta facendo il governo italiano per fermare il conflitto?
Da mesi chiediamo alla Russia di interrompere la guerra in Ucraina, di avviare una percorso politico e diplomatico. Vorremmo vedere i due Paesi abbandonare le armi e tornare al negoziato.
Con quali obiettivi?
Dev’essere una trattativa che serva a sancire la fine della guerra e la libertà dell’Ucraina, non la resa di questo Paese a chi lo ha invaso. Ma ripeto, l’Italia vuole che il canale politico e diplomatico sia quello da percorrere per arrivare alla fine del conflitto in Ucraina.
Lei, ministro, ha novità in proposito?
Pochi giorni fa sono stato in Svizzera, invitato dal mio collega e amico Cassis: forte della sua tradizione di mediazione, la Svizzera ha provato a mandare avanti dei colloqui diplomatici in cui presto speriamo si possa associare la Russia. Noi sosteniamo con forza questa impostazione, innanzitutto all’interno dell’Unione Europea e poi in ogni organismo multilaterale che possa contribuire al negoziato.
A suo avviso, il governo Netanyahu cerca o no una soluzione legale al problema palestinese?
Il lavoro incessante del Segretario di Stato Usa Antony Blinken e dei mediatori egiziani e qatarini ci lascia sperare che presto sia Israele che Hamas possano dare il loro assenso a un accordo per il cessate il fuoco che preveda il rilascio di tutti gli ostaggi israeliani, il pieno accesso degli aiuti alimentari e sanitari a Gaza e un’assistenza molto veloce e massiccia per una popolazione stremata da una guerra ormai insostenibile.
Quale azione sta svolgendo l’Italia per favorire una soluzione?
Il Governo continua a lavorare affinché si possa trovare un accordo per un cessate il fuoco “sostenibile” in linea con la Risoluzione del Consiglio di Sicurezza dell’Onu. Per noi questo accordo è fondamentale anche per una de-escalation a livello regionale, incluso il confine israelo-libanese dove è presente la forza di interposizione delle Nazioni Unite, Unifil, di cui fanno parte anche i nostri militari.
Il governo sta lavorando da tempo per pacificare la Libia. Tuttavia i problemi nel Sahel sono molto rilevanti e condizionano tutto il Maghreb. Che ruolo stiamo svolgendo per favorire la stabilità nell’area?
La Libia è un elemento decisivo per la sicurezza del Mediterraneo e il governo italiano sta lavorando per la stabilizzazione della regione anche sostenendo la mediazione dell’Onu. È fondamentale indire le elezioni presidenziali e parlamentari rafforzando al tempo stesso la cooperazione contro i flussi di migranti irregolari nel Mediterraneo.
Quali iniziative abbiamo intrapreso?
Meno di 12 mesi fa abbiamo disposto un primo contributo di 350mila euro sui fondi immediatamente disponibili nell’ambito della risposta umanitaria delle Nazioni Unite. Alla luce della gravità della situazione abbiamo continuato a seguire gli sviluppi sul terreno in stretto contatto con le autorità locali, le agenzie internazionali e gli altri partner.
Attualmente in Libia i problemi sembrano aumentare. Che cosa bisogna fare?
Il primo passo da compiere è superare la fase di stallo, con una perdurante polarizzazione tra il Governo di unità nazionale del Primo ministro Dbeibah e il cosiddetto Governo di stabilità nazionale di Osama Hammad, Primo ministro designato dalla Camera dei rappresentanti di Tobruk. Poi c’è da intervenire, così come stiamo facendo, sulle cause profonde dei movimenti migratori, in partenariato con le nazioni di origine e transito e nel quadro del Piano Mattei per l’Africa e del Processo di Roma su migrazioni e sviluppo. Il costante impegno italiano, in cooperazione con le nazioni del Nord Africa, è finalizzato a contrastare le reti criminali di trafficanti di esseri umani. Occorre sviluppare in parallelo vie legali e sicure di migrazione.
E per quanto riguarda il Sahel?
La crisi nel Sahel è strettamente legata a quella libica. In questa regione l’Italia vuole agire con i partner europei, per sottrarre ciascuno di questi Stati in cui si sono installate giunte militari al gioco di influenza che varie potenze internazionali vogliono venire a mettere in piedi in una regione che è cruciale per la sicurezza africana ed europea.
L’Italia è rimasta senza commissario per il Fronte Sud. Ci può dire cosa è successo?
La richiesta italiana di guardare al Fronte Sud era stata accolta con grande entusiasmo e il lavoro fatto dal gruppo di esperti della Nato era stato valutato molto positivamente. Per questo avevamo chiesto un maggiore attenzione, con la nomina di un inviato speciale del segretario generale. Come noto, il segretario generale uscente Stoltenberg ha nominato il funzionario spagnolo Colomina come suo rappresentante speciale per il Sud.
Uno sgarbo di fine mandato?
Ho espresso il disappunto per tale iniziativa in virtù del forte impegno che l’Italia ha profuso, in seno al gruppo di esperti e in Consiglio, per l’istituzione di questa figura. E per il capitale di credibilità ed equilibrio di cui il nostro Paese gode nella regione e non si può dire lo stesso di altri alleati.
Il governo intende assumere iniziative?
L’auspicio è che la scelta del prossimo segretario generale, Rutte, sia più equilibrata e sia più rispettosa anche delle richieste italiane. Noi continueremo ad avere un ruolo decisivo e duplice: da una parte verso l’Africa, dove l’Italia è attiva per l’attuazione del Piano Mattei, che è una priorità del nostro governo e del Paese, e dall’altra per la situazione del Medio Oriente.
(Federico Ferraù)
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