Le fonti sono innumerevoli e tutte denunciano che il fenomeno delle liste di attesa in Italia continua a presentare profili gravissimi di criticità e disfunzioni organizzative, che si ripercuotono negativamente sulla capacità del Servizio sanitario di garantire l’accesso generalizzato e tempestivo alle visite specialistiche e agli accertamenti diagnostici, e che richiedono solleciti interventi di governo del sistema per un recupero di efficienza.
Tabelle differenziate da territorio a territorio aggravate dall’emergenza del periodo Covid e dai tagli subiti dal Sistema sanitario nazionale sia nel tempo che recentemente che smentiscono i provvedimenti legislativi dei nuovi livelli di assistenza, della riorganizzazione in corso per i dipartimenti come i Pronto soccorso, le terapie del Piano nazionale oncologico, l’integrazione socio/sanitaria delle cosiddette Case della salute. I dati sui tempi di attesa per le prestazioni ambulatoriali il ricorso all’ospedalizzazione per interventi chirurgici o di terapie salvavita evidenziano inefficienze nelle procedure di prenotazione affidate ai Cup che, non consentendo la presa in carico di tutte le richieste che giungono al sistema, possono determinare sospensioni di fatto delle prestazioni prenotabili (il cd. fenomeno di “blocco delle liste”, che costituisce una “barriera all’accesso” al Servizio sanitario).
Un divario sempre crescente riscontrato tra la domanda di prestazioni (il numero delle prescrizioni emesse) e l’offerta (il numero delle prenotazioni accettate dal sistema), che denuncia inesorabilmente l’incapacità del servizio sanitario pubblico di soddisfare l’effettivo fabbisogno. Non esiste a tutt’oggi il recupero delle prestazioni sospese nei periodi di maggiore crisi del Covid che ha denotato ritardi rispetto agli obiettivi programmati e un utilizzo non efficiente dei fondi statali destinati allo scopo.
La presenza di due livelli di governo rende necessaria la definizione di un sistema di regole che ne disciplini i rapporti di collaborazione, nel rispetto delle reciproche competenze, per realizzare una gestione del sistema sanitario efficiente e capace di rispondere alle istanze dei cittadini coerentemente con le regole di bilancio. Ma così non è e succede che in una regione si scelga di chiamare medici e infermieri cubani contrattualizzandoli, di pagare i medici specializzandi con dei gettoni giornalieri, dopo che si è mandato coattamente in pensione coloro che sarebbero stati disponibili a continuare almeno per alcuni anni a servire il Ssn ricorrendo poi in extremis a una deroga che ha spinto molti medici “di famiglia” a mettersi a disposizione di Rsa private in cerca di personale qualificato.
Ben ha fatto la Ministra Bernini ad aprire all’iscrizione universitaria e alla ricerca medica scientifica il numero di accesso dei giovani, ma sappiamo che il tempo necessario ad acquisire la competenza e la messa in opera è lunghissimo e il caos è ora. Sta di fatto che la professione medica e paramedica se non ci fossero gli operatori del nord Europa (soprattutto Osa) continua a mancare disastrosamente nei presidi ospedalieri, e non ci consola che, nei Paesi dell’area Ocse, il tema delle liste d’attesa rivesta una veste critica a intensità variabile, in ragione del tipo di prestazione sanitaria preso in considerazione. In prevalenza assume rilievo con riguardo ai trattamenti programmati, alle visite specialistiche e agli accertamenti diagnostici, e nelle fattispecie caratterizzate da maggiore urgenza o nelle patologie più gravi.
Il Ministro Squillaci suggerisce di investire le risorse a disposizione nelle urgenze, ma sappiamo che ormai la richiesta dei medici di base non ha risposte, molti medici ospedalieri si dimettono dall’incarico anche perché segnalano la scarsa trasparenza nei criteri di determinazione delle quote di recupero e della ripartizione dei finanziamenti fra le aziende che rendono difficilmente determinabile il conseguimento degli obiettivi di assistenza adeguata. Bisogna rifondare l’immagine delle professioni sanitarie tra i giovani spiegando che sono 23, altamente qualificate, con sicurezze occupazionali assolute e ruoli professionali di grande interesse. Modificare profondamente i modelli di servizio e organizzativi e le regole sui mix di personale che deve essere impiegato durante le procedure, limitando l’impiego di medici a quando è davvero necessario superando antichi retaggi burocratici di presenza e firma formale. Aggiornare i numeri della programmazione universitaria perché rischiamo una nuova pletora medica, mentre mancano gli infermieri.
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