Saranno le imminenti elezioni europee (6-9 giugno), o sarà l’approssimarsi della bella stagione, o forse solo la bizzarria del tempo meteorologico che alterna nel nostro Paese afa (in certe zone) e grandine (in altre), sta di fatto che in questo periodo sbocciano a più non posso proposte di intervento sui tempi di attesa. Ha cominciato il Pd (proposta Schlein), ha proseguito il Movimento 5 Stelle (proposta Quartini), ha continuato la Lega (Romeo), e per finire è arrivata la proposta del Governo.



I quattro progetti di per sé hanno obiettivi generali diversi e diversa portata e dimensione (esempio: numero di articoli, argomenti specifici, etc.), ma poiché in tutte e quattro le proposte (e particolarmente in quella del Governo) è messa a tema la soluzione del problema dei tempi di attesa, nel seguito proviamo a ragionare sulle proposte in campo proprio con riferimento a questa materia.



Dal punto di vista dei contenuti le soluzioni suggerite dai diversi progetti, al di là delle differenze di linguaggio, di accento, e di dettaglio, sono molto simili (anche se poi non sono esattamente coincidenti) ed hanno a che fare: con l’istituzione di un unico centro di prenotazione delle prestazioni erogate sia da strutture pubbliche che private accreditate, con l’abolizione delle liste di prenotazione chiuse, con l’estensione delle visite diagnostiche e specialistiche anche al sabato e alla domenica e con ampliamento della fascia oraria per l’erogazione delle prestazioni, con la garanzia di tempi certi per le prestazioni (mediante ricorso però a strategie e proposte diverse: uso dell’intramoenia, maggiore ricorso al privato accreditato, premi e punizioni, etc.), con l’aumento di risorse per il personale (eliminazione del tetto di spesa, incentivi monetari e fiscali, nuove assunzioni, misure premiali per il raggiungimento di obiettivi, etc.), con l’arricchimento informativo dei siti web con informazioni sui tempi di attesa massimi, oltre alla istituzione di strutture centrali e locali per il governo delle liste di attesa, compreso il ruolo di Agenas.



Che il Governo adesso ne parli esplicitamente attraverso un provvedimento è positivo, non fosse altro perché, seppure in modi diversi, ne parlano tutti; ma che si parli solo di liste di attesa è una visione miope e senza prospettiva, al di là della potenziale novità costituita da alcune soluzioni proposte (esempio: allargamento degli orari dell’offerta). Il problema delle liste di attesa, infatti, non è un problema specifico che richiede un intervento settoriale; è un problema che si colloca in maniera certo specificamente sensibile e con caratteristiche peculiari in un servizio sanitario che necessita di una profonda riforma, come da tempo qui, e non solo qui, si reclama.

Un intervento indirizzato esclusivamente alla soluzione dell’annoso e complesso tema dei lunghi tempi di attesa per l’accesso alle prestazioni, per quanto mediaticamente attraente soprattutto avendo davanti a breve una competizione elettorale, è destinato al fallimento ma non, come reclamano le opposizioni, per l’insufficiente (o addirittura mancante secondo alcuni) copertura finanziaria o per l’inadeguatezza delle proposte tecniche formulate dal Governo (che risultano per altro molto simili a quelle formulate dagli oppositori), bensì perché il problema non è settoriale ma strutturale, e le polemiche in corso, più che a differenze di soluzioni e di proposte, sono da attribuire alla logica del dibattito, in particolare pre-elettorale, tra maggioranza ed opposizione.

Dire che il problema è strutturale significa che va messa a tema l’attuale impostazione ed organizzazione complessiva del sistema sanitario, a partire dai suoi principi fondanti, perché è nella configurazione che ha assunto il SSN dopo 45 anni di vita che trova origine il problema dei tempi di attesa. Se c’è un problema generale di mancanza di risorse, di insufficienza di alcune figure professionali, di inappropriatezza della domanda e dell’offerta (medicina difensiva, ma non solo), di debolezza della assistenza territoriale, di difficoltà di relazione e di rapporto tra aree di assistenza (ospedale vs. territorio), di formazione del personale, e via elencando, non si può pensare che il problema dei lunghi tempi di attesa si presenti come una questione specifica, a sé stante, che sorge e si configura al di fuori di questo contesto generale.

Ben vengano specifiche proposte settoriali (CUP unificati, ampliamento degli orari di apertura, organismi di monitoraggio, incentivi al personale, miglioramento della informazione, etc.), che possono attenuare il livello della problematica, ma se non si affronta il tema più generale della riforma del SSN saremo di fronte solo ad interventi palliativi senza prospettiva di successo, se non quello mediaticamente apparente di averci provato e di dare l’idea che non si stia fermi con le mani in mano.

C’è bisogno di più, non solo dal Governo, non solo dai partiti di maggioranza ed opposizione (le cui proposte come si è detto sono altrettanto simili, e quindi inadeguate, a quelle da essi criticate), ma occorre aprire un coinvolgimento più ampio che metta in gioco i tecnici, i pazienti e le loro organizzazioni, la comunità civile e tutte le istituzioni interessate (nazionali, regionali, locali), in un dibattito fondativo, o meglio ri-fondativo, per definire quali devono essere le caratteristiche del servizio sanitario di oggi e, soprattutto visti i tempi che questo dibattito richiede, di domani.

 

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