In mancanza di segnali dal governo, la notizia di ieri dal fronte coronavirus è che in Lombardia e Veneto è vietato uscire di casa senza le mascherine. La spesa si fa con naso e bocca coperti e possibilmente un paio d’occhiali davanti agli occhi, e Luca Zaia ha imposto pure i guanti per chi spinge i carrelli e preleva il cibo dagli scaffali veneti. Dopo avere tambureggiato per giorni sul messaggio che per evitare il contagio bastava mantenere le distanze e lavarsi accuratamente le mani, ora la priorità diventano le mascherine. Uno degli esperti più ascoltati in queste settimane, il virologo padovano Andrea Crisanti, consulente dello stesso Zaia, invita a tenerle anche a casa. Il virus vola ovunque.
È l’ultimo esempio della gestione incerta e improvvisata di questa emergenza, in cui agli italiani sono arrivati in continuazione messaggi contraddittori. Le ordinanze, le autocertificazioni, le chiusure, le zone rosse e arancioni, le conferenze stampa notturne, gli annunci privi di provvedimenti, i tamponi, i 25 miliardi di euro, il doppio commissario, i bonus per la spesa. È lunghissimo l’elenco di azioni che ha contribuito a disorientare un popolo già provato da una tragedia senza precedenti che ha finora ucciso oltre 15mila persone, senza che se ne veda la fine.
Una strage che ha portato con sé un’ombra pesantissima sul futuro di tutti. Il decreto di aprile si fa ancora attendere, e con esso le prospettive di ripresa. Il governo parla ancora soltanto di misure assistenzialistiche, di bonus, di redditi straordinari. Ma i soldi non si vedono. Si vede però burocrazia e impreparazione. Né si vede un’idea per il futuro, non diciamo per un rilancio, ma semplicemente per mantenere quegli striminziti livelli di Pil che abbiamo prodotto negli ultimi anni.
Il riaffiorare della rabbia sociale si sta già manifestando non tanto nella disobbedienza – che pure cresce – alle sempre più stringenti regole di isolamento, quanto nelle fasce di popolazione che cominciano a intuire che dalla paura del virus forse si può uscire, ma che la perdita del lavoro può essere un incubo ancora peggiore. E questa volta, a differenza che dopo il 2008, potrebbe essere molto più difficile “reinventarsi”. Gli industriali chiedono visione e capacità progettuale di cui non c’è traccia. Il turismo, per anni decantato come il “petrolio d’Italia”, deve ripensarsi da capo: che cosa saranno le nostre spiagge se dovremo mantenere le distanze e tuffarci non con la maschera ma con la mascherina?
E che ne sarà dell’agricoltura senza i braccianti, o delle schiere di lavoratori in nero che tirano a campare come possono? Chi pagherà le tasse in un Paese di cassintegrati? Chi si prenderà cura dei malati se medici e infermieri vengono mandati in prima linea senza armi, come dimostrano i 100 morti tra le loro file? Girano già le battute: paragoniamo il numero di decessi tra i medici e tra i politici, e vediamo chi sono i privilegiati. L’odio sociale s’impenna. L’assalto ai forni di manzoniana memoria prende le forme delle “spese proletarie” nei supermercati del Sud Italia. Fortunatamente una grande rete di solidarietà soccorre ancora molte situazioni di indigenza, ma questa volta nonni e famiglie non potranno più svolgere quel ruolo di ammortizzatore sociale assunto dopo i dissesti finanziari di 12 anni or sono.
È in atto una lacerazione sociale profonda, e la politica non se ne rende conto. Il governo tentenna, tasta il terreno facendo uscire dichiarazioni ora del ministro Speranza, ora del capo della Protezione civile, visto che al momento Conte preferisce parlare con la stampa estera. Il balletto delle date è estenuante: 3 aprile, 13 aprile, ma Borrelli dice già di scordarsi il 1° maggio, nelle scuole ormai si parla di rivedersi a settembre. La gente è disposta a fare sacrifici per tutelare la salute propria e altrui. Ma se il motivo è l’imperizia di chi guida il Paese, la rabbia è pronta a esplodere.