CONTE VS DRAGHI, LO SCONTRO SULLE SPESE MILITARI
«Il governo intende rispettare e ribadire con decisione gli impegni Nato sull’aumento delle spese militari al 2% del Pil. Altrimenti verrebbero meno gli impegni presi dalla maggioranza»: queste parole pronunciate, pare, da Mario Draghi ieri sera nel vertice-scontro di 90 minuti con il leader M5s Giuseppe Conte, risuonano ancora a monito di una non impossibile crisi di Governo.
La lite tra gli ultimi due inquilini a Palazzo Chigi verte sul nodo delle spese militari: per capirsi subito, senza dare per scontato il nocciolo della questione, nel 2014 in Galles l’Italia concordò con gli altri membri Nato l’adeguamento entro il 2024 di spese militari per il 2% del proprio PIL. Da allora i vari Governi che si sono succeduti – compreso i due Governi Conte – avrebbero dovuto gradualmente aumentare tale spesa: il leader M5s ieri a Draghi ha però ribadito che al momento attuale, con la crisi Covid e la crisi economica dovuta alla guerra in ucraina, «Non metto in discussione gli accordi con la Nato, ma l’aumento delle spese militari ora è improvvido». L’inserimento dell’adeguamento al 2% del PIL (un aumento rispetto all’attuale spesa dello 0,5%) nel prossimo Def ha scatenato l’ira di Conte e di larga parte del Movimento 5Stelle già contrario all’invio di armi a Kiev per contrastare l’invasione russa: «Ho portato a Draghi la preoccupazione del M5s e di tutti italiani. Ho chiesto al premier di lavorare per maggiori risorse per la salute italiani. Siamo rimasti che ci aggiorneremo. Aprire una crisi di governo non è sul tavolo, ma sosteniamo l’esecutivo e abbiamo diritto a essere ascoltati», ha poi aggiunto Giuseppe Conte uscendo piuttosto contrariato dal vertice di Palazzo Chigi martedì pomeriggio. La replica di Draghi è tutta in un gesto, la salita al Quirinale dal Presidente Mattarella per far capire che la posta in palio è molto alta.
RISCHIO CRISI DI GOVERNO DOPO LITE DRAGHI-CONTE? VERSO CONTA IN AULA
Colle e Palazzo Chigi si sono detti in piena sintonia sul rispetto delle spese militari Nato: Draghi già a Conte aveva mostrato che il budget dell’Italia dal 2018 è sostanzialmente fermo alla stessa cifra del 2008 e che la situazione attuale impone al nostro Paese di raggiungere gli obiettivi e gli impegni presi anni fa. 21 miliardi di spese per la Difesa nel 2018, saliti “solo” a 24,6 miliardi nel 2021, quasi 25 ad inizio 2022: per il 2024 bisogna arrivare a 37 miliardi di euro, ovvero il 2% del nostro PIL.
Il M5s non ci sta e pone sul tavolo l’ipotesi di non votare il Def qualora tali spese vengano inserite: di contro, Draghi ha tuonato – raccontano i retroscena – facendo trapelare quel «no ai ricatti! […] Verrebbero meno gli impegni presi dalla maggioranza». La situazione anche parlamentare è complicata e il prossimo Def potrebbe rappresentare una sorta di “conta” in Aula per capire chi ancora vorrà rimanere nella maggioranza Draghi, intento comunque fino all’ultimo a ricucire con l’intera forza parlamentare del M5s e non solo con la parte filo-draghiana vicina a Luigi Di Maio. Oggi e domani al Senato si vota il Decreto Ucraina, dove Conte ha fatto sapere che anche se controvoglia non farà mancare i voti («non c’entra nulla con la corsa al riarmo e per questo lo voteremo in Senato, con o senza fiducia. Non votiamo il provvedimento a cuor leggero ma per senso di solidarietà verso chi sta difendendo il proprio Paese», ha detto ancora ieri): qui il Governo è stato messo alla prova dall’ordine del giorno presentato da Fratelli d’Italia che impegna l’Italia a raggiungere la soglia del 2% del PIL per la spesa militare, esattamente quanto il M5s contesta. Per evitare di spaccarsi in Commissione, il Governo ha introdotto l’odg di Giorgia Meloni nel Decreto Ucraina, evidenziando però la fragilità di una compagina tutt’altro che unita alla vigilai del Documento di Economia e Finanza. La Lega di Salvini, seppur non convinta dalle eccessive spese per aiuti militari all’Ucraina, ha confermato la lealtà al Governo Draghi lasciando di fatto Conte col “cerino in mano” di una possibile quanto “fantasiosa” crisi di Governo. Renzi e il Pd, con Forza Italia, si schierano con Palazzo Chigi, Leu è invece più dubbiosa in quanto già aveva contestato con Bersani l’invio di armi e aiuti ingenti a Kiev. Di fatto però, il vero peso (parlamentare) resta in mano al Movimento. Il M5s ora è chiamato ad una scelta: “piegarsi” alla real politik dello scenario internazionale ed evitare lo strappo – dimostrando quel “penultimatum” di contiana memoria – o andare alla effettiva conta rompendo il Governo.