La transizione ecologica passa non solamente attraverso le auto e le case. Ci sono altre fonti di emissioni che, in ottica ecologista, dovrebbero preoccupare gli esperti, come sottolinea La Verità. Si parla nel dettaglio dei dispositivi digitali, il cui impatto ambientale è poco noto. Giovanna Sissa, docente all’Università di Genova ed esperta indipendente della Commissione europea, ne ha parlato in un libro intitolato “Le emissioni segrete. L’impatto ambientale dell’universo digitale”. La professoressa, attenta ai temi green, è convinta della necessità di una rivoluzione ambientalista.



Attualmente “osservare che il digitale, con i suoi bit e la sua immaterialità, per esistere ha bisogno di cavi, circuiti, calcolatori potentissimi, memorie, apparecchiature varie e dispositivi individuali, e che tutto questo deve essere costruito, trasportato, alimentato, dismesso e smaltito, è quasi un tabù. L’imperativo è abbattere le barriere che ostacolano lo sviluppo digitale. Che sarà mai un insignificante impatto sull’ambiente anche se esistesse rispetto agli enormi vantaggi? Il solo ipotizzare che, data la fortissima tendenza di crescita, la piccola quota di negatività potrebbe diventare non più trascurabile sembra un tradimento della causa, un mettere in discussione la rivoluzione stessa e schierarsi dunque con i conservatori, nemici dell’innovazione” scrive nel libro la docente.



Smartphone, il settore digitale lascia indietro quello green

La rivoluzione digitale prosegue spedita, senza troppo interessarsi di quella green. La professoressa Sissa, nel suo libro riportato da La Verità, prosegue ancora: “Chiedere al settore digitale di adempiere ai propri obblighi di rendicontazione ambientale, come lo si chiede a tutti gli altri settori, suona sulle prime quasi come un’eresia”. Si tratta infatti di un settore restio a farsi esaminare. “Le dispute sull’ammontare delle sue emissioni globali di carbonio sono feroci, pochi gli studi, i dati difficili da ottenere. Spesso nella diatriba si punta a delegittimare piuttosto che ad argomentare. La forchetta dei valori possibili diverge ampiamente, più di quanto accada in altri ambiti”. Il settore digitale si descrive come molto green ma invece che gestire la complessità della riduzione delle emissioni di carbonio, la limita all’uso di fonti rinnovabili per produrre elettricità.



L’elettricità, come spiega La Verità, è responsabile del 26% delle emissioni globali, il settore dei trasporti del 16%, l’agricoltura e l’edilizia rispettivamente per il 21 e il 7%. Il settore che produce la percentuale maggiore di emissioni è l’industria, con il 30% del totale. Apparecchiature e dispositivi digitali richiedono molta energia e sono responsabili di molte emissioni in vari momenti: della progettazione, della produzione, dei trasporti e poi dello smaltimento. “L’impatto di un dispositivo digitale sull’ambiente, cominciato dal momento in cui sono state estratte le materie prime, si accresce processo dopo processo, continente per continente, laboratorio per laboratorio, fabbrica per fabbrica. Se l’estrazione delle materie prime comporta un forte utilizzo di energia primaria, non è certo da meno la fabbricazione dei componenti” scrive ancora la ricercatrice Sissa.

Produrre uno smartphone consuma più che produrre un’auto

Come spiega la docente ed esperta di energia nel suo libro, “produrre uno smartphone del peso di 140 g richiede circa 700 MJ (il Joule è l’unità di misura dell’energia) di energia primaria, mentre ci vogliono circa 85.000 MJ per produrre un’auto a benzina del peso di 1.400 kg: è necessario consumare 80 volte più energia per produrre un grammo di smartphone piuttosto che produrre un grammo di auto. Se guardiamo specificamente ai microchip è necessaria un’energia di circa 600 MJ per produrre un microchip di 2 g”.