Stare a casa oggi per salvare il Natale domani. «L’estate relativamente rilassata è finita. Ora siamo di fronte a mesi difficili. Come sarà il nostro inverno, il nostro Natale, si deciderà nei prossimi giorni e settimane. Lo decideremo tutti con le nostre azioni. Vi chiedo di evitare qualsiasi spostamento che non sia davvero necessario, qualsiasi festa che non sia davvero necessaria. State a casa, ovunque voi siate, in qualunque momento sia possibile». Lo ha detto la cancelliera tedesca Angela Merkel, sulla scorta degli ultimi dati sui contagi nel suo Paese: circa 8 mila in 24 ore, per la Germania un record fin dall’inizio della pandemia.



Da noi, a muro dei 10 mila già sfondato, mentre si gioca l’assurda caccia al tesoro sui ventilatori polmonari (dove sono finiti? Non si doveva acquistarne molti altri? Dovevano pensarci le Regioni: perché non l’hanno fatto?), mentre la curva delle positività da Covid somiglia sempre più al grafico degli utili di Amazon, mentre si tentenna tra chiusure anticipate dei bar o il divieto del calcetto e si sforna un nuovo Dpcm destinato a scontentare tutti, rigoristi e non, mentre insomma si perde tempo nel cercare di portare a decisioni condivise anche quei cani e gatti della schizofrenica coalizione di governo, c’è chi analizzando la situazione prospetta il nostro futuro più prossimo. Un futuro di giorni difficili, in una situazione che è destinata a raggiungere in fretta i numeri di Francia, Gran Bretagna, Spagna. A meno che…



A meno che non ci si fermi, rallentando almeno per due o tre settimane, per resettare tutto il sistema, soprattutto la fase delicata dei tracciamenti delle persone contagiate, e riportare la curva epidemiologica sui valori di appena un mese fa, scongiurando l’incubo della saturazione degli ospedali e ancor più delle terapie intensive. Questo “a meno che” lo ha pronunciato il microbiologo padovano Andrea Crisanti, lo stesso che all’arrivo del Covid ha saputo suggerire al Veneto la strategia più efficace, basata proprio sullo screening allargato, sui tamponi e sui tracciamenti, e che poi è stato disattivato probabilmente perché giudicato troppo mediaticamente esposto o forse anche perché troppo realista. E quindi pessimista.

Il punto è che il reset evocato dal professore è lo stesso prospettato dalla Germania, dalla Francia e da altri Paesi, uno stop che però non consente altre dilazioni o rinvii: da più voci s’è parlato di farlo coincidere con le vacanze natalizie, a scuole chiuse. Ma aspettare due mesi significherebbe arrivare alla data con una situazione deteriorata, con i contagi davvero fuori controllo e una situazione sanitaria ormai ingestibile. Di più: un lockdown a Natale implicherebbe una sincope per un settore già in animazione sospesa da mesi, il turismo. Una recente indagine dell’istituto Ixè ha stabilito che lo stop in quelle date comporterebbe per il comparto una perdita secca di oltre quattro miliardi, e genererebbe un’ondata di ulteriori sofferenze, di fallimenti, di cessioni di attività che coinvolgerebbe non solo gli operatori diretti, ma anche una catena lunghissima di attività indotte.

Sarebbe il caso, dunque, sia per contenere l’epidemia su livelli gestibili, sia per tentare di salvaguardare un settore che da solo produce il 13% del Pil (ma che, incorporando il valore della lunga filiera coinvolta, raggiunge valori ancora più consistenti), di affrettarsi a decidere contromisure immediate. Se un reset dovesse risultare la strategia migliore, sarebbe il caso di stabilirlo il più presto possibile (la Francia ha già programmato in questo senso), così da liberare il Natale da qualsiasi minaccia.