14 ottobre. I nuovi casi di Coronavirus in Italia sono 7.332, 43 i morti. Da Milano arriva l’allarme: 1.884 i nuovi casi solo in Lombardia, oltre 500 a Milano. In Francia Macron decide per il coprifuoco dalle 21 alle 6 (parte da domenica). Come interpretare l’impennata dei casi nel nostro Paese alla luce di quello che sta succedendo nel resto d’Europa? Sarebbero necessarie regole più stringenti o quelle in vigore sono di per sé sufficienti? E davvero è ipotizzabile un lockdown natalizio? Ne abbiamo parlato con Carlo Federico Perno, Direttore di microbiologia all’Ospedale Pediatrico Bambino Gesù.



I dati sui contagi sono molto preoccupanti. Come interpretarli?

Un punto nodale su cui dobbiamo ragionare è il fatto che a marzo-aprile gli effetti del lockdown li abbiamo visti dopo circa un mese. Questo vuol dire che quello che stiamo vedendo oggi, 14 ottobre, è l’epifenomeno non di ciò che è accaduto a ottobre ma di ciò che è accaduto a settembre, quando c’erano le code per le vacanze, quando c’era la percezione di essere invincibili, quando le mascherine erano un’opzione: noi oggi vediamo gli effetti di ciò che è avvenuto fra metà settembre e fine settembre.



Come leggere allora i numeri di questi giorni?

Vanno considerati sotto due punti di vista. Il primo è quello che ho appena detto, cioè sono i numeri dei contagi e dei comportamenti dell’ultima parte di settembre, in secondo luogo non va dimenticato che sono fra i numeri più bassi di tutta l’Europa. Se guardiamo la mappa dell’ECDC, l’ente preposto al controllo delle infezioni in Europa, l’Italia è giallo-arancione, è un Paese in condizioni decisamente migliori di altri. La Spagna è quasi tutta rossa, la Francia è messa malissimo, il Belgio e l’Olanda sono in condizioni disastrose, l’Ungheria lo stesso, buona parte dell’Inghilterra è rossa, lo è l’Islanda.



Sei ci soffermiamo sull’Italia?

L’Italia vive un momento difficile e non è che questo ci consoli, però ci aiuta a capire che la situazione italiana altro non è che parte di un contesto internazionale estremamente difficile in cui gli italiani hanno viaggiato e gli stranieri hanno viaggiato in Italia: è stato buono per certi versi, ma chiaramente il virus ha avuto una circolazione. L’aumento dei casi, lo ripeto, non è il disastro di oggi ma deriva dai comportamenti adottati nell’ultima parte di settembre, perché questo è un virus che si trasmette solo attraverso i comportamenti umani.

In Italia sembra di vivere sulla soglia del bollettino quotidiano (che abbiamo mandato in vacanza durante l’estate). Che ne pensa? 

Occorre un ragionamento integrato. Io da virologo dovrei dire: chiudete tutto, state tutti in casa per 3-4 mesi e il virus non ci sarà più. È evidente che non è pensabile una cosa del genere: bisogna contemperare la situazione della malattia e del virus con le esigenze di una popolazione e di un Paese che, come tutti i Paesi, è in difficoltà economica. Dobbiamo trovare questa quadra non facile tra la malattia e le necessità del Paese. Questa premessa è fondamentale, perché altrimenti si pensa: chiudiamo tutto e risolviamo, però non possiamo permettercelo, ecco. Bisogna trovare un equilibrio intelligente.

Questo che cosa le suggerisce a proposito di altri paesi europei?

In questo senso le misure prese in Francia e in Spagna sono figlie di una circolazione virale che è in alcuni posti dieci e più volte superiore rispetto alla nostra. L’Italia in questo momento ha una circolazione virale nettamente inferiore al resto d’Europa, quindi la base di partenza dell’aumento è minore rispetto a quello che hanno gli altri Paesi.

Merito nostro?

Abbiamo fatto qualcosa che gli altri Paesi non hanno fatto: abbiamo abbassato la quantità di virus circolante. Se ci atteniamo ai comportamenti che sono previsti attraverso le regole che ci sono state date, il virus non ha tantissimi spazi di circolazione. La domanda è un’altra.

Quale sarebbe?

C’è la voglia, la capacità degli italiani, in questo momento, di rispettare le regole? Il problema non è regole più rigide, è la necessità che le regole vengano rispettate, e il rispetto delle regole passa attraverso due passaggi: prendere coscienza dell’importanza del rispetto delle regole e avere qualcuno che le faccia rispettare.

Oggi si parla di un raddoppio dei contagi a Milano.

Nel momento in cui non c’è un rispetto delle regole e il mezzo pubblico è pieno, ci stiamo esponendo al contagio. Il problema non è chiudere tutta l’Italia, è cercare di rispettare delle regole di distanziamento. I mezzi pieni sono un esempio di un distanziamento non rispettato, di fronte a un virus estremamente infettivo.

La mascherina non basta?

La mascherina basta fino a che noi stiamo per un certo tempo in un certo spazio. Ad esempio, se sono in una stanza areata con un’altra persona a distanza, io sono abbastanza sicuro. Se sono nella stessa stanza che però non è areata e sono a contatto per tre ore con una persona infetta, la mascherina non basta. La mascherina non è un totem, è uno straordinario strumento che ci ha salvato, ma bisogna conoscerne anche i limiti, pregi e svantaggi. Il pregio è che funziona e funziona molto bene, lo svantaggio è che non è una cura assoluta, va usata con intelligenza e in modo intelligente.

E la scuola? Il presidente Conte ha detto che non ci sono gli estremi per un ritorno alla didattica a distanza, si riferiva al fatto che non si sono originati al momento, per quanto ne sappiamo, focolai dalle scuole. Lei cosa ne pensa?

Le rispondo per la parte virologica, che è quella di mia competenza. La scuola in questo momento è una struttura estremamente “attenzionata”, di fatto c’è un’attenzione quasi maniacale a che la scuola rimanga priva da eccessi di Covid (perché l’assenza totale è impossibile). Al momento i dati presenti non indicano in nessuna maniera che la scuola sia un focolaio di rischio, poi magari fra una settimana scopriamo che non è così, ma in questo momento non è un focolaio; non essendolo – e lo dico da virologo – non vedo ragioni di chiudere le scuole. È evidente che questa mia affermazione verrebbe a cadere se d’improvviso scoprissimo che le scuole sono diventate un focolaio d’infezione. Il ragionamento è sempre lo stesso: se gli studenti seguono le regole che ci siamo dati, i rischi d’infettività sono bassi, se non le seguono avremo un problema.

L’ipotesi di un Natale in lockdown?

Non mi esprimo perché credo che sia stata pensata come una boutade per segnalare l’emergenza della situazione, io la interpreto così perché non riesco proprio a immaginare di fare un lockdown a Natale, e poi perché proprio a Natale? È un modo per portare l’attenzione su un problema. Le infezioni sono oggi prevalentemente sul luogo di lavoro dove non c’è distanziamento e non s’indossa la mascherina, sono in casa dove la mascherina sicuramente non c’è, sono nei posti (penso ai bar, ristoranti, etc.) in cui non vengono rispettate le distanze. Il problema non è chiudere i ristoranti, è fare rispettare le distanze al loro interno, cosa che, lo dico per mia esperienza personale, spesso non accade.

 

(Emanuela Giacca)

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