Chiunque si trovi frequentare strade, negozi, ristoranti delle città italiane – al Nord, al Centro, al Sud – noterà una certa rarefazione della gente in giro. Una rarefazione che si può apprezzare sui mezzi del trasporto pubblico locale, sui treni, sugli aerei. Insomma, l’Italia sembra precipitata in un nuovo lockdown. Questa volta su base volontaria per il moltiplicarsi dei casi positivi al virus e l’assunzione delle conseguenti precauzioni da parte della popolazione.
Questo vuol dire che c’è un pezzo di società che ha ripreso a soffrire quanto e forse più dell’epoca del blocco totale delle attività che perlomeno era generalizzato e rappresentava una risposta di sistema dolorosa e orgogliosa allo stesso tempo. Un indice di questo malessere si può riscontrare nella ripartenza delle sofferenze bancarie che rischiano di schizzare letteralmente verso l’alto per l’incapacità di molte imprese a restituire i prestiti ricevuti.
Ecco perché da più parti s’invoca una nuova moratoria che spinga più in là il pagamento delle somme dovute o allunghi il periodo dell’esecuzione per abbassare l’onore mensile del debito. Non si tratta di cattiva volontà, ma della conseguenza di un andamento della pandemia non prevedibile al tempo del concepimento della misura di sostegno rinforzata, peraltro, dalla garanzia dello Stato. L’economia non è ripartita come si sperava.
Soprattutto, non è ripartita per tutti allo stesso modo. Se le esportazioni crescono e determinano un apprezzabile aumento del Prodotto interno lordo (Pil) che si avvicina a recuperare i livelli perduti, altri comparti se la vedono davvero male. E i risparmi accumulati in vario modo – che, secondo le statistiche, sono cresciuti di molto in questo periodo – restano fermi in attesa che torni l’ottimismo e la voglia di spendere. La mancanza di visibilità frena gli acquisti.
Ecco perché l’inflazione che cresce – in Italia come in Europa e nel resto del mondo – è più dovuta a problemi che si verificano dal lato dell’offerta (scarsità di materie prime, complicazioni negli approvvigionamenti, mutamenti nelle catene del valore) che a una spinta dal lato della domanda. Anche gli investimenti produttivi – la spesa buona più volte richiamata dal Premier Mario Draghi – non sono ancora partiti in attesa che si dia la stura al Pnrr.
Questa situazione che induce a una cauta preoccupazione e consiglia il varo tempestivo di nuovi provvedimenti che evitino il peggio è figlia dell’accentuarsi di un fenomeno che sta dominando i nostri tempi. E cioè l’allargamento della forbice tra chi migliora la propria posizione e chi la peggiora. Tra chi sta meglio e chi sta peggio. Tra chi vince e chi perde nella doppia sfida sanitaria ed economica al Covid-19 e alle sue innumerevoli varianti.
Il che imporrebbe misure di politica economica selettive, capaci di mirare al bersaglio e colpire nel segno perché mai come adesso le differenze impediscono che regole valide per tutti possano risultare efficaci: superflue o ridondanti per alcuni, inutili o insufficienti per altri. Questo implicherebbe il massimo dell’attenzione e della concentrazione per evitare di perdere pezzi di comunità che poi sarà molto difficile recuperare.
Uno sguardo d’insieme al paziente Italia potrebbe infatti rivelare uno stato di salute tutto sommato soddisfacente. Ma osservare la media dei fenomeni non è mai stata una buona pratica per comprendere e governare bene un Paese che da sempre mostra una distanza siderale tra gli estremi di ogni fenomeno. Basti per tutto considerare l’immutato e forse crescente divario tra Nord e Sud, una delle ragioni dello sbilenco andamento della nostra economia.
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