Nuovo lockdown generale e serrato, un anno dopo? Ci sono avvisaglie di emergenza epidemiologica tali da suggerire misure così drastiche? La comunità scientifica non è concorde, sulle stesse varianti del virus più che lanciare allarmi si parla di tenere la guardia alta e di monitorare con attenzione la situazione. E c’è chi dice che ventilare l’ipotesi di una serrata totale non farebbe che attestare definitivamente come la politica anti-pandemia seguita dal governo Conte abbia accumulato una catena di ritardi, errori e omissioni, che adesso rischiano di riportarci alla casella di partenza, quando il Covid ci colse di sorpresa e ci colpì duramente. Con una differenza rispetto a febbraio-marzo 2020: dal punto di vista economico, sociale e psicologico un nuovo lockdown si tradurrebbe in un colpo da ko forse drammatico ed esiziale per il paese.



A proporre un nuovo lockdown è stato Walter Ricciardi, consigliere del ministro della Salute, Roberto Speranza. “Professor lockdown”, come è stato ribattezzato ha invocato un radicale “cambio di rotta”. In sostanza – questo il succo del suo ragionamento – è il momento di mandare in soffitta la strategia finora adottata, e che prevedeva la convivenza con il Covid, per passare a un piano no Covid basato su tre pilastri: 1) lockdown limitato nel tempo, però intensivo, di 2-3-4 settimane per riportare l’incidenza, cioè il numero di nuovi casi, sotto i 50 per 100mila abitanti; 2) tale limite è il massimo per cui si può fare la seconda cosa: testare e tracciare, per non far sfuggire questo virus; 3) vaccinare a tutto spiano. Solo così, secondo Ricciardi, “potremo tornare alla normalità”, seguendo il modello adottato dai paesi del Far East.



Intanto, come osserva Luca Ricolfi, docente di analisi dei dati all’Università di Torino e presidente della Fondazione David Hume, “non si può evocare il modello orientale senza conoscerlo, proprio perché non è basato sul lockdown, anzi è costruito su strumenti che consentono di evitare il più possibile i lockdown. E si tratta di strumenti alternativi e forse per noi spiacevoli: dal tracciamento elettronico con il Gps, che comunque gli italiani non accetterebbero e che comunque penso non saremmo in grado di organizzare né gestire, come abbiamo visto con il fallimento dell’app Immuni, alla chiusura delle frontiere, sigillate per mesi e non per qualche giorno, fino all’obbligo di distanziamento e mascherine rispettato da tutti”.



La proposta di Ricciardi, comunque, ha subito diviso i virologi e gli scienziati (non tutti d’accordo con la sua idea) e ha scatenato diverse reazioni. Ma la domanda di fondo resta: dopo 12 mesi di stop&go un po’ confusi e irrazionali, dopo due ondate pandemica e l’insorgere di alcune varianti (a settembre quella spagnola, ora quelle inglese, sudafricana e brasiliana) oggi serve davvero un nuovo lockdown generale?

“Non è detto – risponde Paolo Bonanni, docente di Igiene generale e applicata all’Università di Firenze – che non facendo il lockdown pagheremmo maggiori conseguenze”, anche se è vero che siamo arrivati a un punto in cui – sottolinea Ricolfi -, “non essendo stato fatto nulla, un lockdown di qualche tipo è inevitabile. Ma ogni lockdown lungo e non circoscritto rappresenta una sorta di certificato di fallimento della politica sanitaria adottata”.

In effetti, da febbraio 2020 – quando, all’inizio della prima ondata, il governo aveva assicurato che era tutto a posto, salvo poi scoprire drammaticamente che mancavano le mascherine e i dispositivi di protezione – a febbraio 2021 sono tanti gli interrogativi che attendono ancora risposta: perché non sono state mai fatte indagini epidemiologiche mirate? Perché non è stata attivata, appena possibile, una robusta attività di sequenziamento del virus? Perché, alla luce dell’insorgenza delle varianti e visti i buoni risultati conseguiti durante la prima ondata con la zona rossa tempestivamente adottata a Codogno, non si è perseguita la strategia dei lockdown mirati e circoscritti, all’interno anche di regioni gialle o arancioni? Perché, dopo un anno, non si è provveduto ad aggiornare il piano di contrasto alla pandemia? Perché ci si è fatti trovare impreparati anche all’arrivo della seconda ondata? Perché non è stato fatto nulla per rafforzare i trasporti pubblici? Perché non è stato fatto nulla per mettere in sicurezza, sul fronte dell’aerazione, le aule scolastiche, anziché perdere tempo e risorse inseguendo i banchi a rotelle? Perché da due mesi a questa parte, nel calcolo degli indicatori, non è stato previsto il parametro della prevalenza di varianti sul territorio? E si potrebbe continuare.

A spingere nella direzione del lockdown sono, per Ricciardi, le varianti. Sono loro la prima preoccupazione non solo del Comitato tecnico scientifico – che chiede “un rafforzamento delle restrizioni” in vigore-, o dell’Istituto superiore di sanità – che ne certifica la presenza nel 20% circa dei contagi riscontrati (ma con una presenza nelle diverse regioni che varia in un range amplissimo compreso tra lo 0% e il 59%), tanto da indurlo a raccomandare di intervenire “rafforzando/innalzando le misure in tutto il paese e modulandole ulteriormente laddove più elevata è la circolazione, inibendo in ogni caso ulteriori rilasci delle attuali misure in atto” – ma anche dell’Ecdc (Centro europeo per la prevenzione e il controllo delle malattie), che ha rivisto al rialzo le stime di una nuova accelerazione dei contagi nella Ue.

“Le varianti – spiega Bonanni – dal punto di vista clinico non sembrano al momento più pericolose o letali, anche se sono destinate ad avere il sopravvento sul vecchio virus. Si può comunque continuare a convivere con il Covid. Il primo obiettivo dovrebbe essere quello di ridurre i danni, cioè i ricoveri in terapia intensiva e i decessi, e questo lo si fa garantendo più precocemente ed efficacemente la protezione delle persone più anziane e fragili. Riuscissimo a vaccinare tutti gli ultra80enni in tempi brevi avremmo risolto un problema: non avremmo i tassi di letalità che abbiamo finora. A quel punto potremmo permetterci anche un po’ più di diffusione del virus, sapendo che non fa più di tanto danni, e l’interesse a un nuovo lockdown verrebbe depotenziato. In secondo luogo, bisognerebbe monitorare la diffusione delle varianti, adottando, là dove necessario, dei mini-lockdown mirati. Insomma, proverei a vedere se con altre armi si può bloccare il virus, per esempio mantenendo e rendendo più severa la differenziazione tra le zone”.

Dunque, esistono alternative al lockdown? “Visto che le varianti stanno diventando più trasmissibili e probabilmente più letali – sottolinea Ricolfi – e visto che la campagna di vaccinazione è in ritardo stratosferico – in base all’indice DQP (Di questo passo) da noi calcolato, arriveremo al 70% di persone vaccinate solo ad aprile 2024 – è del tutto chiaro che dovremo combattere il virus con altri mezzi, che non possono essere solo i lockdown. La prima arma da mettere in campo è un intervento drastico e radicale sul trasporto pubblico, aumentando in misura consistente, attraverso accordi con il settore privato, il numero dei mezzi disponibili per diluire i possibili assembramenti. In secondo luogo, bisogna introdurre l’obbligo tassativo di mascherina FFP2 in tutti i luoghi chiusi, a partire proprio dai mezzi pubblici. Occorre poi effettuare controlli sistematici, al limite assumendo nuovo personale, di modo che la probabilità di essere multati sia la più alta possibile. Quarto punto: va ripresa una campagna massiccia di tamponi, che da metà novembre a gennaio sono stati invece diminuiti. Infine, è necessario incrementare l’attività di sequenziamento del virus”.

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