Il lockdown nei paesi dell’Europa occidentale non hanno avuto impatti evidenti nel contenimento dell’epidemia di coronavirus. Lo sostiene Thomas Meunier, ricercatore del Woods Hole Oceanographic Institution, in uno studio pubblicato su medRxiv a cui ha collaborato l’Ensenada Center for Scientific Research and Higher Education. La ricerca si è concentrata sugli effetti delle restrizioni applicate in Italia, Francia, Spagna e Regno Unito per rallentare la diffusione dell’epidemia. «Confrontando la traiettoria dell’epidemia prima e dopo il blocco, non troviamo alcuna evidenza di discontinuità», scrive l’autore dello studio. Estrapolando le tendenze del trend di crescita prima del blocco, sono state elaborate delle stime sul numero dei morti senza lockdown ed è emerso che «queste strategie potrebbero non aver salvato alcuna vita in Europa occidentale».
Inoltre, le nazioni vicine che hanno assunto misure meno restrittive hanno mostrato un’evoluzione dell’epidemia molto simile. Questo studio pone anche l’accento sugli effetti negativi che il lockdown può aver avuto sulla popolazione. «L’epidemia di Covid-19 ha dimostrato che, da sola, influisce sulla salute mentale, come con sindromi d’ansia e la depressione, e le conseguenze dell’isolamento potrebbero incidere su queste condizioni», ha scritto Thomas Meunier.
“LOCKDOWN NON HA FERMATO EPIDEMIA CORONAVIRUS”
Lo studio è destinato a far discutere, perché sostiene che «nessuna vita è stata salvata da questa strategia», quella del lockdown. D’altra parte, la ricerca fa notare che in quei Paesi dove non sono state assunte misure di distanziamento sociale, come la Svezia, l’epidemia di coronavirus può essere soggetta a «fluttuazioni più ampie». Da qui la conclusione che «le misure di distanziamento sociale, come quelle applicate in Olanda e Germania, o in Italia, Francia, Spagna e Regno Unito prima del blocco totale, hanno approssimativamente gli stessi effetti». Così è facile concludere che si sia inutilmente chiuso tutto, provocando anzi gravi effetti economici. E invece uno studio dell’Università di Cambridge, a cui ha lavorato anche il professor Giancarlo Corsetti, sostiene che non chiudere nulla costerebbe il doppio in termini economici.
«Senza restrizioni sulla salute pubblica, la diffusione casuale della malattia colpirà inevitabilmente settori e industrie essenziali per il funzionamento dell’economia», afferma l’analisi condotta con i ricercatori del Federal reserve board degli Stati Uniti. Diversi operatori essenziali lascerebbero il lavoro per malattia, quindi la produzione verrebbe compromessa e così ci sarebbe una contrazione dell’economia pari al 30%.