Il lockdown è davvero la strategia migliore per arginare i contagi da coronavirus e di conseguenza limitare i morti? A esprimere dubbi sulla sua efficacia è il noto epidemiologo John P.A. Ioannidis della Stanford University, che ha realizzato uno studio con Martin A. Tanner (Northwestern University), Vincent Chin e Sally Cripps (University of Sydney). La ricerca, pubblicata sul Journal of Clinical Epidemiology, evidenzia il lockdown è apparso la misura più efficace per salvare vite umane nell’analisi del team dell’Imperial College pubblicate su Nature perché è stato usato un modello che non tiene conto della mobilità. Il modello che invece tiene conto della mobilità evidenzia “pochi o nessun beneficio dal lockdown negli stessi paesi”.



Il professor John P.A. Ioannidis però precisa: “Non sosteniamo che il lockdown non abbia avuto alcun impatto nella prima ondata Covid-19. Infatti, il secondo modello ha mostrato che possa aver avuto un certo impatto sulla curva epidemiologica”. Ma i benefici sono “di minore entità” rispetto a quelli emersi dai precedenti studi, sicuramente più modesti rispetto ai danni causati da questo tipo di restrizioni.



DUE STUDI CONTRO LA “STRATEGIA” DEL LOCKDOWN

I nostri risultano non vanno interpretati con una lente nichilista, cioè che il lockdown è totalmente inefficace. Diminuire le esposizioni ha senso per ridurre la propagazione dell’onda epidemica ed eventualmente la mortalità”, osservano i ricercatori. D’altra parte, si può fare lo stesso “con misure meno aggressive e che causano meno danni”. Peraltro, non hanno tenuto conto di orizzonti temporali lunghi, quindi in teoria le misure migliori possono avere un’efficacia temporanea. Non è il primo studio con cui John P.A. Ioannidis “piccona” il lockdown. Ha lavorato ad un’altra ricerca, questa della Stanford University, che è stata pubblicata sull’European Journal of Clinical Investigation.



Mettendo a confronto il trend di crescita dei contagi tra marzo e aprile 2020 in 10 nazioni, tra cui l’Italia, e analizzando quanto gli interventi non farmaceutici (NPI) più restrittivi hanno inciso sul controllo della diffusione del coronavirus, hanno scoperto che non ci sono stati benefici significativi tale da giustificare tali sacrifici della popolazione. Se le restrizioni hanno portato a riduzioni significative della crescita dei casi in 9 nazioni su 10, per le misure più dure non si è avuto lo stesso effetto.