Ma il lockdown come lo abbiamo tristemente imparato a conoscere nel pieno della pandemia Covid-19, da dove nasce? Un lungo articolo di Aier – tradotto integralmente da Dagospia in italiano – ha provato a rispondere a questa domanda, tenuto conto che negli States i lockdown fatti tout-court sono solo quelli del marzo-aprile 2020, mentre in Europa tutt’oggi (nelle zone rosse) si continua a convivere con quell’impostazione come quasi l’unica vera arma contro l’espandersi della pandemia.
«In che modo un piano temporaneo per preservare la capacità ospedaliera si è trasformato in due o tre mesi di arresti domiciliari praticamente mondiali che hanno causato stop ai viaggi internazionali, disocuppazione, devastazione di ogni settore economico, confusione e demoralizzazione di massa?», si chiedono gli autori del reportage, non avendo timore nel definire il lockdown un “sopruso” contro «diritti e libertà fondamentali, tra cui proprietà privata cancellata dalla decisione di chiudere forzatamente migliaia di aziende». Si scopre così che il lockdown come progetto nasce “solo” 14 anni fa e condivisa non da scienziati o medici, ma espressamente da politici e da una liceale americana.
DA DOVE NASCE IL LOCKDOWN
«Quattordici anni fa, due medici del governo federale, Richard Hatchett e Carter Mecher, incontrarono un collega in una hamburgeria alla periferia di Washington per un’ultima revisione di una proposta che sapevano sarebbe stata trattata come una bomba: obbligare gli americani a restare a casa dal lavoro nel caso il paese venisse colpito da una pandemia mortale», lo raccontava il New York Times il 22 aprile 2020 provando a scavare alle origini del progetto estremo. Il piano nacque nello scetticismo generale visto che si introducevano teorie come l’autoisolamento che “andavano” nel Medioevo e Rinascimento ma non più nell’epoca contemporanea. Prosegue il NYT: «La teoria ha richiesto il lavoro dei suoi principali sostenitori – il dottor Mecher, un medico del Dipartimento per gli affari dei veterani, e il dottor Hatchett, un oncologo diventato consigliere della Casa Bianca. Ai loro studi ne è stato poi aggiunto uno simile portato avanti dal Dipartimento della Difesa. E ha avuto alcune deviazioni inaspettate: una profonda immersione nella storia dell’influenza spagnola del 1918 e un’importante scoperta avviata dal progetto di ricerca della figlia liceale di uno scienziato presso i Sandia National Laboratorie». Ebbene, il concetto di allentamento sociale nacque in quel caso per poi essere migliorato e pianificato senza però coinvolgere medici o esperti del campo: la ragazza, Laura M. Glass, sotto la guida del padre ha progettato una simulazione al computer «per studiare come le persone – familiari, colleghi di lavoro, studenti nelle scuole, persone in situazioni sociali – interagiscono. Ha scoperto che i ragazzi delle scuole entrano in contatto con circa 140 persone al giorno, più di qualsiasi altro gruppo. Sulla base di questa scoperta, il suo programma ha mostrato che in un’ipotetica città di 10.000 persone, ne sarebbero state infettate 5.000 durante una pandemia se non fossero state prese misure, ma il numero si sarebbe ridotto a 500 se le scuole fossero state chiuse», riporta Aier. Un esperimento scientifico scolastico che è diventato nel giro di qualche anno una “legge” non solo negli Usa ma in tutto il resto del mondo. il Dr. DA Henderson, scienziato noto per lo sforzo internazionale per sradicare il vaiolo, ha completamente respinto l’intero progetto: «Non ci sono osservazioni storiche o studi scientifici che supportano il confinamento in quarantena di gruppi di persone potenzialmente infette per periodi prolungati al fine di rallentare la diffusione dell’influenza. … Nell’ultimo mezzo secolo è difficile identificare circostanze in cui la quarantena su larga scala è stata utilizzata efficacemente nel controllo di qualsiasi malattia. Le conseguenze negative della quarantena su larga scala sono così estreme (reclusione forzata dei malati; restrizione completa dei movimenti di grandi popolazioni; difficoltà nel fornire rifornimenti critici, medicinali e cibo alle persone all’interno della zona di quarantena) che, dopo un’attenta considerazione, questa misura di mitigazione dovrebbe essere eliminata…», concluse il professore assieme a suoi tre colleghi della John Hopkins, loro sì esperti in materia.