«Ecco perché non ho fatto l’esposto sui verbali dell’avvocato Piero Amara»: così ieri a Piazzapulita a parlare è stato Piercamillo Davigo sul caso della presunta Loggia Ungheria. L’affaire impegna al momento ben 4 Procure (Milano, Brescia, Roma e Perugia) e ancora non si è compreso se si tratti di mera diffamazione dell’avvocato già accusatore-calunniatore nel processo Eni-Nigeria o se vi siano i prodromi per uno scandalo giudiziario che farebbe impallidire il già gravissimo “sistema Palamara”: per l’ex consigliere del Csm da poco pensionato, c’è stato un motivo preciso per cui non ha rivelato per mesi le carte ricevuti dal pm di Milano Paolo Storari (emerse pubblicamente dopo l’invio della sua segretaria Contraffatto in gran segreto alle redazioni giornalistiche e all’altro consigliere Csm Nino Di Matteo).
«Qualunque strada formale avrebbe comportato il disvelamento di tutta la vicenda e quindi c’era la necessità di informare i componenti del comitato di presidenza, perché questo dicono le circolari, in maniera diretta e sicura», spiega Davigo non riuscendo a convincere però nessuno dei presenti in trasmissione da Formigli subito dopo. Nè Palamara («sono uno spettatore questa volta della vicenda»), né l’ex procuratore aggiunto di Milano Robledo («La ricostruzione di Davigo non mi convince per niente. Non è vero che se Davigo avesse seguito le linee formali avrebbe disvelato il caso»), né tantomeno il giudice Csm Sebastiano Ardita, primo nome presente nelle carte della presunta “Loggia Ungheria”
VERBALI AMARA: SPUNTA SECONDO NOME NEL CSM
«Al netto della bufala clamorosa, io sono basito da quanto sentito oggi. Devo sentir dire che non si possono seguire le linee formali? È gravissimo», ha ribadito al telefono con Piazzapulita Ardita, un tempo sodale molto prossimo a Davigo nel sistema di potere del Csm e ora definitivamente in rottura con l’ex amico. «Non ho mai conosciuto l’avvocato Amara in privata sede, l’ho interrogato solo una volta nel 2018», ha poi concluso Ardita, decisamente imbufalito per quanto sentito poco prima nella ricostruzione fatta da Davigo. Il racconto dell’ex giudice di Mani Pulite viene poi specificato nel report oggi sul Corriere della Sera, con fonti dirette dell’interrogatorio fatto da Davigo ai pm di Roma mercoledì scorso: «Marcella Contrafatto corvo? Una collaboratrice sempre affidabile, sebbene nell’ultimo periodo un po’ sopra le righe». L’ex consigliere ha giurato di non aver mai condiviso con lei i “segreti” della presunta Loggia, l’avrebbe anche avvertita di non far mai entrare nella sua stanza Ardita anche se ha poi ammesso di averle indicato il 20 ottobre 2020 (ultimo giorno prima della pensione) «il fascicolo con i verbali spiegandole che se fosse stato necessario farlo avere al comitato di presidenza avrebbe dovuto mettersi in contatto con un altro consigliere da lui indicato», riporta il Corriere della Sera.
Da ultimo, Davigo avrebbe detto ai pm di aver avvertito informalmente il vicepresidente Csm David Ermini al quale avrebbe anche chiesto di avvertire il Quirinale, cosa che – racconta l’ex Csm – sarebbe poi puntualmente avvenuta. Dai verbali di Amara però emergerebbe che non solo Ardita avrebbe fatto parte della presunta “Ungheria”, ma spunterebbe ora anche un secondo nome del Consiglio Superiore di Magistratura: si tratta del consigliere Marco Mancinetti, dimessosi nel settembre 2020 per via delle vicende legate al caso Palamara. Per tutti questi motivi, ha detto Davigo al procuratore di Roma Michele Prestipino nella testimonianza resa mercoledì (secondo il CorSera), non ritenne di presentare relazione o regolare esposto, ma di investire il comitato di presidenza solo informalmente. Il tutto mentre dal Colle e dal Ministero della Giustizia permane l’assordante silenzio: Mattarella e Cartabia non vogliono interferire nelle già complicate indagini, ma è evidente che il primo “passo” che dovranno fare nelle prossime settimane potrebbe segnare una forte direzione che prenderà l’affaire Amara-Ungheria. Se di un enorme castello di carte o se, al contrario, di una rivoluzione forse fatale per l’attuale sistema di potere della magistratura.