All’inizio di questa settimana il Financial Times si è di nuovo occupato dei problemi nelle catene di fornitura globali. In particolare ha raccolto i commenti di Morten Engelstoft, vice presidente esecutivo di Maersk, uno dei principali gruppi globali del trasporto marittimo.

Il problema, secondo il manager, è il circolo vizioso che si è creato da un rimbalzo della domanda che sta mettendo in difficoltà le società di container, di fornitura e la logistica; l’unico modo di rompere il circolo vizioso, per Engelstoft, è un rallentamento della domanda dei consumatori: “dobbiamo abbassare la crescita della domanda per dare alle catene di fornitura il tempo per recuperare, oppure spalmare la crescita. In un periodo di tempo più lungo saremo in grado di recuperare l’efficienza”.



Non è la prima volta che il tema della disponibilità di beni viene affrontato. Alla fine di agosto Kamala Harris, vicepresidente degli Stati Uniti, aveva consigliato agli americani di iniziare a comprare i regali di Natale, perché avrebbero potuto esserci ritardi di molti mesi. L’abbassamento della domanda, però, non era ancora stato presentato come una possibile soluzione “temporanea” al problema.



Gli elementi che concorrono alla situazione attuale sono molteplici: l’efficientamento estremo dei magazzini degli ultimi anni; i lockdown locali che fermano pezzi delle catene di fornitura bloccando le filiere; la mancanza di personale in alcuni settori. Potremmo etichettare questi fattori come “temporanei”, ma ce ne sono altri che sembrano più strutturali.

Alcuni Stati, la Cina ma non solo, stanno facendo scorte ed esportano di meno a causa di una minore fiducia nell’evoluzione dei rapporti geopolitici, nel funzionamento delle catene di fornitura e per i dubbi sulla futura disponibilità di materie prime e semilavorati. L’inflazione da prezzi energetici ha effetti ampi; non tutti i settori potranno scaricare l’incremento sui consumatori, la domanda sarà impattata e vendendo meno beni si perdono per strada efficienze ed economie di scala. L’incremento dei prezzi costringe tutti a comprare di più e prima.



Ci sono alcuni fattori temporanei, altri, la ristrutturazione delle catene di fornitura globali con il rimpatrio di alcune produzioni, più duraturi e altri ancora, l’incremento dei prezzi di petrolio e gas, che sono strutturali. I prezzi dei noli, e di molto altro, che “esplodono” hanno un effetto distruttivo e vedere qualche scaffale vuoto aumenta la propensione ad acquistare tutto e subito aggravando il problema.

Non è chiaro come si possa “abbassare la domanda” per “rompere il circolo vizioso” senza incidere profondamente sulle abitudini di famiglie e consumatori, cambiando il paradigma degli ultimi decenni. È possibile che la “politica” possa essere affascinata da queste proposte, perché danno la possibilità di dare la colpa a un “nemico esterno”, le conseguenze “temporanee” del Covid, esimendo dalla necessità di dare spiegazioni e proporre soluzioni che sono faticose e impegnative e che richiedono qualche anno.

La soluzione sarebbe concedere più libertà di impresa e allentare i vincoli, anche e soprattutto quelli “green”, che impediscono alle imprese di risolvere il problema incentivate dai prezzi alti. Gli errori fatti negli ultimi anni o comunque la nuova normalità di catene di fornitura più corte richiedono investimenti e tempo; non ci sono soluzioni facili e immediate. La compressione della domanda potrebbe essere una scappatoia facile.

Se questa diventa la soluzione, bisognerebbe poi chiedersi quali siano gli strumenti per attuarla e come porre dei limiti agli acquisti dei singoli, su quale base e su quali settori e chi eventualmente può decidere e per quanto tempo i “limiti”.

Mentre si riflette è interessante osservare l’evoluzione del dibattito: dai regali di Natale ordinati a fine agosto, quattro mesi di anticipo con i capi estivi ancora in saldo, si è passati alle proposte di compressione della domanda.