C’è Skydeck, realizzato con Cariplo Factory, un incubatore per l’accelerazione di idee che vengono da tutto il mondo, sviluppate 6 mesi a Milano e 6 mesi nell’Università di Berkeley in California, con 2.500 candidature. Startcup ha permesso la nascita di 41 imprese. Ma soprattutto il Bando Nuova Impresa, grazie al quale sono nate 2.180 attività. Sono alcuni degli strumenti di Regione Lombardia per sostenere l’autoimprenditorialità, soprattutto dei giovani.
Ma predisporre gli strumenti per avviare nuove imprese non basta, spiega Guido Guidesi, assessore regionale lombardo allo sviluppo economico: bisogna farli conoscere. L’idea è quella di valorizzare le idee dei giovani, assecondare la loro intraprendenza, sostenendoli nell’avvio di un’attività con partita IVA, ma anche di realizzare, grazie al loro apporto, imprese che sentano sempre di più il loro ruolo sociale. C’è bisogno di recuperare le radici cristiane di un tessuto sociale che, a partire da queste, ha costruito un’economia che non punta solo al profitto, ma a far crescere le comunità di appartenenza.
Le imprese lamentano la mancanza di personale qualificato e di giovani tout court. Come possono questi essere coinvolti nel mercato del lavoro?
Io mi occupo di sviluppo economico e i miei obiettivi principali sono due: il primo è fare in modo che la possibilità dell’autoimprenditorialità, della sfida autonoma dei giovani, sia concreta. In passato è stata svilita: c’era un leitmotiv culturale e comunicativo che condannava la scelta della partita IVA come secondaria. Oggi abbiamo bisogno di una nuova generazione di artigiani che magari domani diventeranno industriali, quindi di una nuova generazione di imprenditori che offrano occupazione e possibilità di indotto. Lì c’è un fattore culturale su cui agire. Dire che i giovani non vogliono fare l’idraulico o il falegname è limitante, è un alibi: nel momento in cui ai giovani accendiamo la miccia, contribuendo a realizzare le loro idee, danno incredibili soddisfazioni.
Ci sono già esempi concreti di giovani che hanno trovato la loro strada?
A settembre porteremo in piazza giovani artigiani che, attraverso una nuova metodologia, hanno dato continuità ad alcuni mestieri tradizionali, con nuovi macchinari e un approccio comunicativo attraverso i social. Per esempio, calzolai che diventano produttori di scarpe per una clientela non solo confinata dove hanno il laboratorio. Sull’autoimprenditorialità abbiamo strumenti come il Bando Nuova Impresa e operazioni dal punto di vista comunicativo per promuovere la conoscenza di queste opportunità.
La Lombardia ha comunque numeri migliori rispetto alle altre Regioni quanto a tasso di occupazione: è al 69,3%, il 12,7% in più della media nazionale. Per quanto riguarda i giovani, raggiunge il 42,5% contro il 34,7% di media nel Paese. C’è comunque bisogno di comunicare meglio ai giovani le opportunità di cui dispongono?
A Bergamo e Brescia abbiamo rotto la soglia fisiologica della disoccupazione, abbattendo una regola economica storica: è sotto il 3%. La carenza di manodopera, quindi, è dovuta anche ai numeri, che ci dicono che è sostanzialmente occupata. Resta comunque un fattore culturale: abbiamo bisogno di far percepire meglio l’offerta formativa di cui dispone la Regione Lombardia, che è di successo. Se si fa un ITS, al 90% l’assunzione in un’azienda è scontata. Ai giovani va fatto capire che, se scelgono questo percorso formativo, potranno andare a lavorare in certe aziende con una carriera interessante dal punto di vista professionale ed economico. Come sistema lombardo presentiamo così ai giovani quello che abbiamo? Probabilmente non ancora.
Alla fine, cosa convince i giovani?
La sfida, il potersi mettere in gioco. Occorre dire loro che, se hanno un’idea, se la possono giocare. Deve arrivare il messaggio che aprire una partita IVA può portare al successo imprenditoriale e alla soddisfazione personale.
Che tipo di imprese si chiede di realizzare a questi giovani?
Il 34% dei nuovi occupati sono finiti nel green job: la transizione le nostre aziende la stanno già facendo, dobbiamo comunicarla di più. Poi va considerato che l’impresa lombarda ha un ruolo, è parte integrante di una comunità, offre benefici dal punto di vista dell’occupazione, dell’indotto economico, ma anche del sostegno alla comunità in termini sociali, non solo ludici e sportivi. Il tema è ripristinare, rafforzare e riprendere le radici cristiane dell’economia lombarda, il loro ruolo all’interno delle aziende, nel mondo del credito, perfettamente integrato all’interno di una comunità che ha queste radici. Il tema è ripartire da lì.
Radici cristiane dell’impresa vuol dire che l’azienda si apre all’esterno e che non pensa solo al profitto?
È già così, dobbiamo avere il coraggio di rafforzare quel senso di comunità che si basa su quelle radici. Lo dico senza fondamentalismi.
Come si fa?
Con un piano di sviluppo territoriale. Stiamo lavorando sugli ecosistemi settoriali, all’interno dei quali non ci sono solo le aziende, ma scuole, enti locali, banche come quelle di credito cooperativo, che hanno le radici che dicevamo prima. In questo contesto, nel momento in cui c’è un’azione di welfare aziendale dove il datore di lavoro di un’impresa capofila di un ecosistema settoriale mette a disposizione borse di studio per i figli dei dipendenti, allora il ruolo dell’azienda va al di là di quello economico, diventa un ruolo di rafforzamento della comunità e investimento sociale. Questa è la forza che ci ha consentito di uscire dalla crisi economica della pandemia.
Come le imprese interagiscono con le altre realtà di questi ecosistemi?
Nella meccatronica ci sono player importanti, leader in campo internazionale, grazie anche a un sistema di supply chain che mostra capacità di servizio e qualità di fornitura. Con l’ecosistema delle filiere supportiamo i fornitori perché siano partecipi della pianificazione richiesta dalle imprese per cui lavorano. Poi c’è un istituto di credito che sostiene questa programmazione, una scuola che fornisce le competenze necessarie, l’università che contribuisce con la ricerca, gli enti locali: l’ecosistema si allarga. Il sistema viene reso eccellente quando l’azienda capofila mette a disposizione il contratto di welfare aziendale anche per i fornitori, o macchinari a sostegno di un centro di formazione. Nel momento in cui fa questo per sostenere un’associazione sportiva o la tradizionale festa del paese, torna, insomma, il suo ruolo sociale. È la forza della Lombardia.
Come viene favorito tutto questo a livello regionale?
Abbiamo cambiato la strategia di sostegno alle aziende: prima si procedeva per categorie come commercio, artigianato, industria, con strumenti che andavano a sostegno delle singole imprese; ora ci siamo spostati sul sostegno settoriale, che guarda all’ecosistema. Oggi ci sono 63 filiere con progetti verticali. Il sostegno dal punto di vista economico riguarda investimenti, economia circolare, formazione, tutto ciò che fa parte dei bisogni delle aziende.
Il fenomeno dei NEET, dei ragazzi che non lavorano e non studiano, come è stato preso in considerazione, quali programmi sono stati sviluppati per loro?
Il fenomeno è limitato. Credo che per risolvere il problema si debba riaffermare il ruolo che alcuni centri educativi tradizionalmente hanno avuto: cito gli oratori e le associazioni sportive dilettantistiche. Queste ultime hanno problemi dal punto di vista del volontariato e da quello burocratico e delle spese. Riaffermare il loro ruolo ci consente di rafforzare la copertura quotidiana dal punto di vista educativo, collegandola con il mondo del lavoro e le opportunità che può offrire. Bisogna ripartire dai territori e dalle radici culturali di questo contesto.
Attraverso quali canali avete promosso l’autoimprenditorialità dei giovani?
L’incrocio migliore è quando le scuole visitano le aziende, ma ci sono alcuni eventi specifici. Poi ci sono strumenti come il Bando Nuova Impresa, attraverso il quale la regione dà una mano fin dal primo investimento a chi apre una qualsiasi attività con la partita IVA. La comunicazione arriva anche attraverso le Camere di Commercio e i professionisti.
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