Il coronavirus ha riacceso lo scontro tra centro e periferia. Ed è tutto politico. Partite le inchieste sui decessi nelle Rsa, con il simbolico Pio Albergo Trivulzio in testa, la grancassa mediatica ha fatto diligente il suo compito. Fioccano titoli come “Le tante domande sulla Lombardia” (Corriere); opinioni alla Saviano, dove si accusano “i legami tra potere regionale e settore sanitario privato” propri della “roccaforte di Roberto Formigoni”; “La fase 2 in Lombardia: 235 morti, pm, tamponi stop e aziende aperte” (Il Fatto Quotidiano); interrogativi sul “peccato originale” (Repubblica) “del sistema creato da Formigoni: la privatizzazione”. Apertura di oggi: “Anziani, nessuna pietà”. Non poteva mancare una prevedibile iniziativa politica: “Va commissariata la sanità della Lombardia” ha chiesto Roberto Napoletano (Quotidiano del Sud). Invito subito raccolto dalla rete di associazioni Milano 2030, che ha lanciato una petizione per commissariare la Lombardia tutta.



Secondo Stelio Mangiameli, ordinario di diritto costituzionale nell’Università di Teramo, siamo davanti a un attacco politico che tradisce non solo un grave pregiudizio di impronta statalista, ma anche anche precise responsabilità del governo.

Partiamo da una richiesta emersa negli ultimi giorni: quella di commissariare la sanità lombarda o addirittura la Lombardia stessa. Sono state addirittura organizzate petizioni in proposito. Si tratta di una richiesta seria?



Assolutamente no! Sarebbe da irresponsabili. Per quante responsabilità possano gravare sulla Regione Lombardia, non sussistono di certo le condizioni previste dall’art. 126 Cost.: gravi violazioni di legge, o atti contrari alla Costituzione, o ancora motivi di sicurezza nazionale. Dubito che il Presidente della Repubblica, cui compete l’atto, scioglierebbe il Consiglio o rimuoverebbe il Presidente della Regione.

Quanto alla sanità lombarda?

Anche in questo caso sarebbe inconcludente un commissariamento: in primo luogo, la risposta è stata massima e ben oltre quello che avrebbero fatto altre Regioni nella stessa condizione; in secondo luogo, la virulenza dell’ambiente lombardo con molta probabilità è dovuta a fattori esterni al sistema sanitario regionale e al potere di decisione del governo regionale.



Lo scontro centro-periferia si è riacutizzato nella fase più drammatica dell’epidemia: quella sulla decisione delle chiusure. Che cosa rivela questo fatto?

Evidenzia con quanta approssimazione e supponenza il Governo centrale ha affrontato l’emergenza. Addirittura impugnare dinnanzi al Tar l’ordinanza del Presidente della Regione Marche e poi subito dopo disporre la chiusura totale delle scuole in tutto il territorio nazionale. Il caso di Bergamo è poi veramente impressionante.

In che senso, professore?

Rifiutare la chiusura, pretendere di essere obbediti dalle Regioni e poi rimpallare la responsabilità affermando che la Regione poteva provvedere autonomamente.

“Capisco la voglia di uscirne, ma i numeri ci dicono che siamo ancora dentro l’emergenza” pertanto “i presidenti che vogliono riaprire se ne assumono la responsabilità”. Lo ha dichiarato il ministro per gli Affari regionali, Francesco Boccia. Come commenta questa affermazione?

È una forma per scaricare la responsabilità su altri. Sinora non c’è stata sottovalutazione da parte delle Regioni, semmai il contrario.

Ha senso ed è legittimo chiedersi chi dovrebbe prevalere tra i due poteri? Che cosa rispondere? 

No! È completamente sbagliato, non solo perché le relazioni tra Stato e Regioni costituzionalmente non sono gerarchiche ma fanno riferimento al principio di competenza, ma soprattutto in quanto, in una situazione del genere, la lotta politica – perché di questo si tratta – dovrebbe essere effettivamente sospesa e non rincarata.

Questo scontro a intensità variabile tra Governo centrale e Regioni è stato acceso dal coronavirus, ma le sue premesse erano (e restano) latenti? perché? 

Le Regioni ordinarie compiono quest’anno 50 anni e sin dal primo momento la posizione degli apparati statali è stata orientata a limitare fortemente l’istituto regionale che veniva considerato un attentatore dell’uniformità amministrativa. Così questi 50 anni sono stati caratterizzati dalla contesa delle competenze.

Qual è la radice del problema?

Il problema è essenzialmente dovuto ad un ritardo culturale. Un qualcosa di analogo non esiste neppure in Francia, dove l’istituto regionale si è molto bene radicato nella tradizione unitaria dello Stato francese.

Oggi chi ha sbagliato di più? il Governo centrale o i governatori?

Non è il caso di fare pagelle. Tuttavia, un punto mi sento di sottolineare. Se un limite c’è stato in tutta la vicenda, è quello di non avere tenuto del tutto immuni le Regioni meridionali dalla pandemia. Avrebbero potuto servire da riserva produttiva del Paese.

Dove dovrebbe passare la ripresa o una fase 2? Da “linee guida nazionali” o da decisioni “differenziate”?

Tutt’e due; anche se le linee guide nazionali sarebbe bene condividerle con le Regioni, come fa la Merkel con i presidenti dei Länder, con incontri settimanali in cui entrambi cercano di dirimere in modo consensuale e collaborativo i problemi dell’emergenza.

Per qualcuno l’emergenza coronavirus sancisce una sorta di bocciatura inappellabile del regionalismo. Meglio tornare al centralismo. Che ne pensa?

Sono discorsi da bar, che non si possono affrontare seriamente nel momento dell’emergenza. In ogni caso, il vero fallimento è stato il governo dell’emergenza e questa per definizione è una competenza centrale e non delle Regioni. Lo Stato non ha saputo effettuare un vero intervento di supporto alle autorità regionali che affrontavano la pandemia. Se ci pensate, è lo stesso rimprovero che muove Cuomo a Trump.

Viene in mente la legge costituzionale 3/2001 che ha riformato il Titolo V. Non crede che molti problemi nascano lì?

L’unico problema che deriva dalla riforma costituzionale è che la burocrazia statale ha mantenuto lo stesso atteggiamento rivendicativo delle competenze, anziché attivare procedure collaborative per gestire le competenze dei due livelli: statale e regionale.

Dunque è stata una riforma opportuna?

La legge cost. n. 3 è giusta perché in un momento in cui gli Stati hanno sovranità aperte, per via dei processi di integrazione, quello europeo e quello internazionale, un maggiore decentramento è necessario per consentire migliori performance al governo centrale nelle negoziazioni internazionali ed europee per la salvaguardia degli interessi nazionali.

Può darci un esempio riuscito di questo processo?

La Francia ha costituzionalizzato le Regioni, potenziato la decentralizzazione e persino l’amministrazione periferica dello Stato. In Italia il Governo continua ad inseguire le Regioni. La Francia, in Europa, è la Francia e l’Italia no.

Secondo lei l’eccellenza sanitaria lombarda è smentita o confermata dai fatti dell’epidemia?

Notoriamente è considerata una eccellenza, anche se il modello lombardo ha una sua diversità rispetto a quello del Veneto, del Piemonte e dell’Emilia-Romagna. Sono convinto che uno studio a posteriori su quanto accaduto potrà portare sicuramente ad un suo ulteriore miglioramento.

(Federico Ferraù)

Leggi anche

VACCINI COVID/ Dalla Corte alle Corti: la neutralità che manca e le partite aperteINCHIESTA COVID/ E piano pandemico: come evitare l’errore di Speranza & co.INCHIESTA COVID BERGAMO/ Quella strana "giustizia" che ha bisogno degli untori