La suggestione è così ovvia da imporsi da sé. Tornare come ai bei tempi della palingenesi universale, quella mancata per un pelo degli anni 1992-93. Saltare sul cavallo pazzo del coronavirus, addomesticarlo ad uso della propria ideologia e dei propri sogni di potere, facendo piazza pulita di ogni residuo di volontà popolare espressa nelle istituzioni repubblicane dove siedono a governare gli avversari politici. Si badi, non con il voto, ma per mezzo della magistratura in combinato disposto con i poteri mediatici e finanziari, nazionali e internazionali.
Il Trivulzio è perfetto per l’uso. Un simbolo troppo ghiotto per sfuggire alle mani sapienti di chi individua in quel nome la grande occasione di un golpe legittimato dall’esclusivo possesso della moralità.
La vignetta di ieri del Corriere della Sera, a firma Giannelli, fotografa lo stato d’animo e il piano d’azione. Il disegno mostra le guardie all’opera nell’ex Baggina, con tanto di mascalzone in manette. Dice il testo: “Sotto inchiesta a ventotto anni dall’arresto di Mario Chiesa”. Dalle finestre un ospite dice: “Possibile ci sia ancora un mariuolo?!”.
Ovvio. Allora come oggi ci sono elementi materiali per un’inchiesta. Anzi oggi l’oggetto dello scandalo e del potenziale reato è decisamente più spaventoso. Là era una mazzetta di cinque milioni di lire gettata nel water, qui c’è la conta dei morti innocenti e abbandonati al virus, causati – è l’ipotesi – dalla negligenza di chi ha trascurato la sicurezza dei degenti e del personale.
Così è troppo facile, troppo semplice. In ballo non c’è l’individuazione di un reato e la punizione dei colpevoli. Allora come oggi il colpevole è il sistema, che si reggerebbe sull’opacità e sul malaffare di chi ha creato una macchina dedicata non al bene comune ma all’arricchimento corruttivo dei soggetti in posizione apicale e via via alle loro clientele.
Questa tesi è stata esposta dapprima su Repubblica, quindi sul Fatto e alla fine – con qualche voce dissonante – dal Corriere della Sera. Dunque è partita dai media mainstream, come si dice, quelli dell’establishment, uniti in uno strano appoggio al governo Conte e ai giallo-rossi, sia pure con occasionali distinguo.
Si noti. L’articolo di maggior eco è stato quello pubblicato da Le Monde a firma di Roberto Saviano, che è anche prima firma del quotidiano oggi diretto da Carlo Verdelli, eccellente professionista e cronista di vaglia e amico vero, il quale però è arrivato inopinatamente a sostenere che il trattamento riservato dalle Residenze sanitarie assistenziali (Rsa) agli anziani ospiti è paragonabile ai lager dove i nazisti rinchiudevano gli ebrei.
Saviano si atteggia a studioso di criminalità organizzata, e con un balzo osceno arriva a posare, in questa qualità di scienziato, il suo occhio accusatore sul sistema sanitario lombardo identificato con quella sorta di ’ndrangheta che sarebbe Comunione e liberazione. Non trovando graduatorie internazionali che possano svalutare il servizio ospedaliero misto statale-privato ma comunque pubblico della Regione, è costretto ad ammetterne le qualità, salvo poi ritenere che il principio di sussidiarietà lì applicato, e che consente ai cittadini anche del Sud d’Italia di accedere gratuitamente a strutture di eccellenza, è sinonimo di corruzione. La prova sarebbe nella condanna inflitta a Roberto Formigoni (con una sentenza ingiusta, a parere non solo dello scrivente che mai ha nascosto l’amicizia e la stima per l’ex presidente della Lombardia, oggi detenuto). Ha scritto Saviano:
“Un esempio per comprendere questa dinamica è quello di Comunione e Liberazione, un’associazione cattolica della quale, fino alla condanna definitiva, il corrotto Roberto Formigoni era uomo di punta. Comunione e Liberazione è potentissima in Lombardia e detta legge; basti pensare alla percentuale maggioritaria, nelle strutture pubbliche, di medici antiabortisti e della difficoltà che la maggior parte delle donne trova a farsi prescrivere la pillola abortiva, nonostante sia previsto dalla legge: la ‘tecnica’ elusiva è semplice. I medici obiettori di coscienza hanno molte più possibilità di fare carriera rispetto a quelli non obiettori. Come si potesse, anche ieri, ascrivere questa dinamica mafiosa al concetto di efficienza è stato per me sempre un mistero. E dispiace che i lombardi debbano rendersi conto oggi, sulla pelle loro e dei loro cari, dell’anomalia di certe dinamiche, che lungi dal rappresentare eccezione gettano una luce sinistra sulla regola seguita in generale”.
Una mescolanza ripugnante di pregiudizi, per cui la libertà di coscienza, che è un diritto incomprimibile, è trasformata in un concorso ad associazione mafiosa.
Più chiaro ancora, nella sua deferenza alla Mani Pulite che fu e alla sinistra politica il vicedirettore di Repubblica, Sergio Rizzo:
“La condanna definitiva a 5 anni e dieci mesi per corruzione inflitta a Roberto Formigoni, già potentissimo presidente della Regione, è l’emblema del modo in cui un blocco di potere politico affaristico per decenni ha gestito la ricca sanità lombarda. Senza soluzione di continuità e con segni precedenti anche alla triste stagione di Tangentopoli: basterebbe ricordare come per una singolare coincidenza proprio quella stagione sia stata inaugurata da Mario Chiesa al Pio Albergo Trivulzio, ospedale oggi al centro del caso eclatante della raffica di decessi di anziani ricoverati rivelato da Gad Lerner su Repubblica”.
Rizzo si abbevera ad Enrico Berlinguer per stabilire la liceità del combinato disposto di magistratura-media-politici di sinistra onde giustificare l’alleanza forcaiola che sogna la ripetizione di quella che il procuratore generale di Milano Catelani definì “Rivoluzione italiana”, guidata dai neo-sanculotti togati, in congiunzione anche allora con Repubblica e il Corriere. Tempo dopo sia Catelani sia il direttore del Corriere espressero pentimento. Ma ci risiamo 28 anni dopo. Mentre Il Fatto Quotidiano ha sostituito l’Unità.
C’è bisogno di dire che i reati vanno perseguiti. Chiunque li abbia fatti. Ma se poteva funzionare l’individuazione di un sistema criminale di tangenti agli inizi degli anni 90, oggi a essere sotto accusa è semplicemente una visione della cosa pubblica. Funziona così. Si individua proprio nel centro dello tsunami Covid una debolezza fin troppo facile da colpevolizzare. Da lì si scatena quello che Angelo Panebianco, sul Corriere della Sera, ha definito “panpenalismo”: prima la caccia all’untore, poi al mandante dell’untore: ed è individuato proprio nel principio di sussidiarietà, di valorizzazione del privato sociale e dell’imprenditoria non parassitaria che ha saputo impiantare opere di qualità altissima. E qui si incrocia con la prospettiva di tornare a uno statalismo centralista, in assoluto dispregio anche alla volontà dichiarata nei referendum effettuati in Lombardia e Veneto. Ma che importa la volontà degli elettori? Conta il sentimento di superiorità morale di questi cavalieri, già pronti a far da scudieri per intanto all’ascesa magari fino a Roma di Beppe Sala, poi si vedrà (era meglio il duo progressista Occhetto-D’Alema).
E già che ci si è, non manca mai il tentativo da iena di gettarsi addosso, criminalizzandola, a una presenza nella società lombarda senza la cui silenziosa testimonianza nelle opere caritative e nelle corsie degli ospedali di tante persone di qualunque confessione e credo o non credo ci sarebbe molta più desolazione.