Un mese prima del caso Codogno, la Regione Lombardia sapeva del pericolo coronavirus. Era stata informata dal ministero della Salute. Nonostante ciò, non avrebbero informato i medici di base. Lo ricostruisce La Stampa, partendo da una circolare del 22 gennaio 2020 ricevuta, tra gli altri, anche dall’assessore lombardo Giulio Gallera. Il giorno dopo ha convocato la prima riunione della task force della Sanità lombarda per produrre un piano preventivo contro il coronavirus. Questo incontro è uno degli aspetti su cui si stanno concentrando le indagini sulla gestione lombarda dell’emergenza coronavirus. La documentazione di quella riunione potrebbe risultare decisiva nelle inchieste della procura di Milano sul caso delle morti sospette nelle residenze per anziani. La Regione Lombardia ha comunicato che durante quei lavori con i responsabili dell’Ats e di Malattie infettive degli ospedali sarebbero state attivate tutte o quasi le realtà del territorio. Un mese prima dell’esplosione della pandemia, la Regione Lombardia, consapevole del rischio, annuncia di aver elaborato un piano di raccordo operativo con medici di base e pediatri del territorio. Quelle “linee guida” non sarebbero però mai arrivate ai medici di base.
CORONAVIRUS LOMBARDIA, “GALLERA NON INFORMÒ MEDICI DI BASE”
Lo ha rivelato il presidente dell’Ordine di Milano Roberto Carlo Rossi, il quale ha aggiunto anche che non c’è stata neppure notizia dei lavori della task force. «Peccato, abbiamo perso un mese per prepararci all’emergenza». L’assessore Giulio Gallera dice di aver lavorato con i medici di base, che dal canto loro sostengono di non saperne nulla. Quando poi si verifica il caso di Codogno, la Lombardia si scopre impreparata. Passano giorni per attrezzare i reparti negli ospedali, i corridoi di ricevimento e per la distribuzione dell’attrezzatura idonea per gli operatori sanitari. Perché non erano state applicate quelle linee guida? E che linee guida erano? Sono due delle domande poste da La Stampa alla Regione Lombardia che però non ha fornito risposte. Forse se gli interventi fossero stati pianificati il giorno della riunione, un mese prima del caso Codogno, si poteva evitare la delibera dell’8 marzo in cui si è chiesto alle Rsa di accogliere i malati Covid-19 “a bassa intensità” per liberare posti in ospedale.
Questa decisione ora è finita nel mirino dell’inchiesta della procura di Milano sui morti nelle Rsa. Ma pure il governo era consapevole dei rischi che poteva correre il paese, visto che il 22 gennaio il ministero della Salute ha convocato il primo vertice con la Direzione generale per la prevenzione, l’Istituto superiore di sanità (Iss) e Nas dei carabinieri. Erano i giorni in cui da Wuhan arrivavano le immagini del lockdown. Proprio da quel tavolo, spiega La Stampa, è partita la circolare per le regioni italiane affinché predisponessero piani contro il Covid-19. Il 31 gennaio Giulio Gallera annunciò che la “macchina” era pronta, ma la prima circolare ai medici di base è arrivata solo il 23 febbraio, due giorni dopo il caso di Codogno. E non c’erano neppure indicazioni sui sintomi della malattia.