Le strategie adottate in Italia per smettere di fumare sono fallite. Ma in altri Paesi sta prendendo piede, con buoni risultati, l’utilizzo di alternative alla sigaretta tradizionale: il tabacco riscaldato e le e-cig. Una soluzione per puntare alla riduzione del rischio dovuto alla combustione delle “bionde” che potrebbe essere presa in considerazione anche nel nostro Paese, valutando le evidenze scientifiche raggiunte finora. Sviluppare il dibattito su questo tema è uno degli obiettivi di Motore Sanità, associazione che in Italia ha messo attorno a un tavolo i vari attori del sistema sanitario e che ora vuole farlo anche per quanto riguarda la lotta al fumo.



Il 3 ottobre, a Roma, spiega il direttore scientifico di Motore Sanità Carlo Zanon, ha invitato l’Istituto superiore della sanità, i cardiologi, il ministero della Salute, gli oncologi, a confrontarsi sull’uso dei nuovi device per valutare se non sia meglio proporre alle persone che non riescono a smettere di fumare delle alternative che potrebbero almeno ridurre gli effetti devastanti della sigaretta.



Il problema della lotta al fumo, ridotto ai minimi termini, è uno solo: non si riesce a far smettere chi fuma sigarette. È così? Quali sono le ragioni?

È così da anni. Abbiamo avuto una discesa dopo il 2010 ma poi i fumatori sono aumentati di nuovo.

Perché le strategie adottate finora si sono rivelate fallimentari?

Tra le strategie adottate c’è quella dei centri antifumo, che tra l’altro ultimamente sono diminuiti della metà. Il problema comunque non è la dipendenza dal fumo, ma dalla nicotina, perché è questa sostanza che dà dipendenza. Nel periodo del Covid i fumatori sono leggermente aumentati: una situazione simile ad altri Paesi europei, che però si sono chiesti, visto che è difficile disintossicare le persone, come sia possibile ridurre il rischio che si corre con la combustione delle sigarette, che provoca danni alla salute. Alcune aziende del settore si sono inventate prodotti alternativi che eliminano ciò che è legato alla combustione, quello che una volta veniva chiamato il catrame, che induce il tumore ai polmoni, alla vescica, alla mammella.



Ma la nicotina può essere estratta anche da altro, oltre al tabacco?

Altre compagnie che non sono legate alla filiera del tabacco hanno spinto moltissimo sulle sigarette elettroniche. La nicotina non è presente solamente nel tabacco, ma anche in altri elementi: i pomodori, le melanzane, i peperoni, le patate. Nei liquidi che vengono messi nelle sigarette elettroniche non viene estratta dal tabacco. Tutto questo ha indotto una riduzione del rischio, almeno per quello che si sa delle sostanze cancerogene. Chiaro che per avere una dimostrazione a distanza bisogna aspettare 15 o 20 anni: normalmente è questo il tempo che occorre alla sigaretta per indurre fenomeni tumorali; va da sé, tuttavia, che se io tolgo le sostanze cancerogene dovrei ridurre il rischio. Da questo punto di vista in Italia non ci vogliono sentire, in altri Paesi, invece, hanno adottato il principio della riduzione del rischio, cercando di invogliare i fumatori a utilizzare il tabacco riscaldato o la sigaretta elettronica. Partendo comunque dal concetto che è meglio non fumare, se non si riesce a smettere meglio cercare di ridurre il rischio.

Perché in Italia ci sono più resistenze ad affrontare il tema della riduzione del rischio?

Intanto non deve essere una questione ideologica, ma basata su ricerche e pubblicazioni scientifiche. Fino a qualche tempo fa mancavano pubblicazioni realizzate da enti terzi, indipendenti, sull’impatto della riduzione del rischio su futuri tumori o malattie. Adesso stanno uscendo anche su riviste importanti. A questo si sono ispirati alcuni Paesi per cambiare le loro politiche.

Cosa possiamo imparare dall’esperienza di altri Paesi?

In Svezia i maschi fumano pochissimo, però, siccome la dipendenza dalla nicotina c’è anche lì, usano una specie di sacchetto, messo tra labbro e gengiva, che si chiama snus: la Svezia ha il più basso numero di tumori ai polmoni di tutta Europa. In Inghilterra hanno lanciato una campagna per arrivare nel 2030 a una nazione quasi libera dal fumo in cui si invita, se non si riesce a smettere, a “svapare”, a usare le soluzioni alternative alla sigaretta. In Giappone fumano quasi tutti tabacco riscaldato: è uno dei Paesi che ha la legge più proibizionista per il fumo, perfino all’esterno si deve fumare in determinate aree. Ora, noi siamo cresciuti con l’idea che il fumo da sigaretta crea tumore, ma quando non si riesce ad andare oltre si può cercare di salvare vite umane e ridurre il rischio.

Ma in Italia questo nuovo approccio sta prendendo piede?

È un argomento molto dibattuto. Una volta si faceva fatica a parlarne. L’Istituto superiore della sanità è molto rigido, ma adesso di fronte a evidenze scientifiche almeno una parte della classe medica è disponibile a parlarne. Intendiamoci, anche l’eccesso di zucchero è mortale, l’eccesso di sale crea problemi, ma mentre la riduzione del rischio è accettata in altre discipline, basta pensare alla vaccinazione del Covid, per una questione ideologica riguardo al fumo e alla nicotina ci sono ancora barriere da una parte e dall’altra. Il Ministero dovrebbe valutare quello che si sta facendo in altri Paesi: mettiamo la gente intorno a un tavolo a discutere seriamente su basi scientifiche. Quello che è stato fatto finora non funziona: i centri antifumo non fanno diminuire i fumatori.

C’è anche un problema economico più generale? La necessità cioè di ristrutturare un settore industriale se si punta sulle alternative alla sigaretta?

Una delle maggiori filiere di tabacco è in Italia, in Emilia Romagna, altri estraggono la nicotina da prodotti naturali. Se riescono lo stesso a fare profitti causando meno danni alla salute non hanno problemi. Anzi queste cose è meglio che le faccia chi è capace di farle. Le prime sigarette elettroniche cinesi non sono durate neanche un anno: avevano una serie di controindicazioni non erano sicure. Non mi stupisco che ora le facciano le aziende del tabacco, proprio perché si occupano di tabacco da una vita. Così come le aziende che producono liquidi per le sigarette elettroniche ormai hanno acquisito le skill per realizzare questi prodotti. L’Europa, tra l’altro, è più restrittiva in questo campo: vuole liquidi senza acetilene, che può indurre danni bronco polmonari.

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