Dati contraddittori che forniscono riferimenti diversi per quanto riguarda lo stesso parametro. I numeri forniti in occasione della Giornata mondiale contro il tabacco, il World No-Tobacco Day (WNTD), organizzato dal ministero della Salute, relativi all’indagine che l’Istituto superiore della sanità ha condotto con la Doxa, presentano diverse difficoltà interpretative, a partire dal fatto che l’unico indicatore utilizzato per la prevalenza del fumo è quello delle fasce d’età, senza serie storica cumulativa per maschi e femmine.
Il dato saliente, comunque, è che i fumatori di sigarette in Italia rappresentano il 20,5% della popolazione, in termini assoluti 10,5 milioni di persone. Soprattutto perché significa un calo del 3,7%, e di quasi 2 milioni di persone, rispetto all’anno prima, con una diminuzione anche rispetto alla rilevazione della Sorveglianza PASSI (Progressi delle Aziende Sanitarie per la Salute in Italia) della sanità pubblica, che per il periodo 2021-22 parla di una prevalenza pari a 12,4 milioni di persone e una percentuale del 24,2. In mezzo c’è stata la pandemia e proprio questa potrebbe essere stata la circostanza che ha portato a una variazione dei valori, peraltro diminuiti anche rispetto al periodo pre-Covid, quando la prevalenza era al 23,3%. Un dato importante che, tuttavia, non è stato adeguatamente sottolineato, preferendo, invece, dare rilievo all’aumento della media delle sigarette fumate rispetto al 2022: 12,2 quest’anno, contro le 11,5 l’anno precedente. Un ritorno, anche questo, ai livelli prima della pandemia.
L’indagine osserva che i fumatori tra i 15 e i 24 anni sono scesi al 17,3%: nel 2022 erano il 21,2%. Un dato positivo anche qui non valorizzato. Viene da chiedersi il perché. L’indagine Global Youth Tobacco Survey, infatti, ha messo in evidenza un calo di 3 punti dell’uso corrente (anche una sola volta negli ultimi 30 giorni) di prodotti con nicotina nella fascia 13-15 anni. Un trend che, come spiegato nel simposio di presentazione dei dati, si accompagna a un’altra considerazione: quella, cioè, che i nuovi prodotti alternativi alla sigaretta non costituiscono una porta di ingresso al fumo anche se creano lo stesso dipendenza.
E qui veniamo alle persone che utilizzano HTPs, i sistemi che riscaldano il tabacco, e sigarette elettroniche (e-cig). Si parla di percentuali rispettivamente del 14% e del 5%, molto superiori al 2022 quando erano al 3,3% e al 2,4%. Salvo poi comunicare, in passaggi successivi, che i livelli raggiunti sono del 3,7% (1,9 milioni di persone) per gli HTPs e del 2,5% (1,3 milioni) per le e-cig, numeri verosimilmente più aderenti alla realtà. Una contraddizione che rende difficile capire quante siano effettivamente le persone che usano nuovi prodotti. E manca sempre la distinzione tra utilizzatori abituali e occasionali.
Così diventa difficile fotografare un fenomeno per disegnare politiche pubbliche basate sulle evidenze richiamate più volte dal ministro Schillaci. Tenendo buone le ultime percentuali resta un aumento dell’uso di HTPs ed e-cig che non può significare, come invece è stato affermato, “un’esplosione nel consumo degli HTPs”. Confrontando i dati con il calo dei fumatori verrebbe da pensare che sono molti di più coloro che hanno smesso rispetto a chi è passato alle alternative alla sigaretta. Resta, insomma, la scarsa chiarezza dei numeri forniti, che non disegnano in modo abbastanza definito il quadro della situazione.
Una pecca riscontrabile anche relativamente agli utilizzatori duali, che dichiarano di usare sia le sigarette sia i prodotti smoke free. Sarebbero l’85,9% di chi usa HTPs (in calo) e l’85,6% (in aumento) per chi preferisce le e-cig. Il sistema di Sorveglianza ISS-PASSI, però, parla di un 63% di utilizzatori duali per gli HTPs e del 61% per le e-cig. Una differenza abissale che non è stata spiegata.
Il traguardo dell’Organizzazione mondiale della sanità di ridurre il tabagismo del 30% nel 2025 rispetto al 2010 resta lontano. Per l’Italia vorrebbe dire ridurre la prevalenza al 16%. Un traguardo raggiungibile, invece, per nazioni che hanno adottato il principio di riduzione del rischio e del danno da fumo. Il Regno Unito ci è vicino, Svezia e Norvegia lo hanno ampiamente raggiunto.
La serie delle contraddizioni non è ancora finita: mentre da una parte si annuncia che la vareniclina, il principale farmaco usato per smettere di fumare sigarette, è stato ritirato dal mercato, dall’altra le Linee guida per la cessazione lo tengono in considerazione. E ancora: secondo le Linee guida le e-cig non sono uno strumento per smettere nel setting clinico, ma diventano efficaci in base ai risultati dell’ultima revisione sistematica Cochrane, anche questa neppure citata nonostante sia stata pubblicata sulla rivista Nature.
L’ultima considerazione riguarda i finanziamenti pubblici: irrisori, tanto che l’Italia ha un punteggio di 0.0 nella scala delle misure contro il tabacco per il budget allocato. Un nuovo approccio alla prevenzione non può che partire da qui, altro che tasse come si continua a ripetere tirando in ballo il ministero dell’Economia.
(Marco Tedesco)
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