L’importante sono gli stili di vita: per evitare malattie cardiovascolari o tumori bisogna alimentarsi bene (stando attenti all’alcol), cercare di fare movimento, ma anche non fumare. Se ne è parlato di recente anche al Farmaco Forum, che si è tenuto a Palazzo San Macuto, alla Camera dei deputati. E proprio sul fumo punta l’attenzione Silvio Festinese, responsabile aziendale Cardiologia territoriale Ospedale S. Spirito ASL Roma 1, spiegando le strategie per smettere e le difficoltà che incontra chi vuole troncare con la dipendenza dalla sigaretta.
Si possono usare farmaci, anche se solo il 20% riesce a smettere così, ci si può recare in un centro antifumo, ma si può anche cercare, per chi non ha avuto successo in altro modo, di ridurre il rischio, utilizzando le alternative alle sigarette tradizionali. Tenendo presente che è sempre meglio non fumare.
Professore, in occasione del Farmaco Forum lei ha tenuto una relazione sugli stili di vita. Quanto incide il fumo sullo stile di vita di una persona e come incide quando vuole smettere?
Nella stragrande maggioranza dei casi le malattie cardiovascolari e oncologiche sono, nel mondo, la causa principale di mortalità e sofferenza umana. In molti casi può essere ridotto il rischio con una seria prevenzione. Abbiamo individuato tre pilastri della prevenzione che riguardano la cattiva alimentazione, compreso il consumo di alcol, la sedentarietà e il consumo di tabacco. Il tabagismo, al pari degli altri, ha lo stesso peso prognostico nell’incentivare la formazione di patologie.
Quali sono le strategie più efficaci per smettere di fumare e quali gli ostacoli maggiori da superare?
Modificare uno solo degli stili di vita di una persona è una delle cose più difficili per noi clinici. Riuscire a far camminare un pigro, a far mangiare meno un goloso o a far smettere di fumare un paziente che viene a una nostra visita con una sigaretta tra le dita è una delle massime difficoltà che incontriamo. Per questo, come strategia, affrontiamo il fattore di rischio che è fonte prognostica di maggior danno.
Ma come si può fare per togliersi il vizio del fumo?
Abbiamo diverse strategie, anche se non necessariamente alternative, ma che possono essere anche contemporanee. Bisogna partire dalla volontà del paziente, ma occorre anche un simultaneo rapporto empatico con il proprio medico di fiducia, quello in cui il paziente riconosce il massimo dell’autorevolezza e il massimo della professionalità, medico di famiglia, ambulatoriale oppure ospedaliero che sia.
L’importante, insomma, è che ci sia fiducia?
L’iniziativa può anche non partire dal paziente, ma se c’è un rapporto empatico, di grande rispetto verso quel clinico, quest’ultimo può essere il primo a creare un’alleanza per far smettere di fumare.
Quali sono gli altri modi per smettere?
La seconda strategia prevede l’utilizzo di farmaci. Riescono ad attenuare la nostra dipendenza dalla nicotina, che attiva la dopamina, la quale va nell’area del nostro cervello che chiamiamo mesolimbo, quella del piacere, delle coccole. E noi vogliamo essere coccolati in una società sempre più stressata, che ci chiede sempre di più. I farmaci, con un programma ben preciso, potrebbero ridurre la dipendenza. Le evidenze cliniche, però, ci dicono che, al massimo, dopo dodici mesi di terapia farmacologica, smette il 20% delle persone. Ci teniamo stretto questo numero, perché non si butta via niente, ma la percentuale di fallimento è dell’80%.
Ma ci sono anche delle strutture che possono aiutare?
Un’altra strategia, infatti, consiste nell’indirizzare i pazienti a un centro antifumo, anche se sono pochi, spesso con poche risorse e i massimi risultati, ahimè, li ha chi gestisce questi centri. Lo dico con dispiacere, non certo con un intento derisorio. Anche qui i risultati non sono molto incoraggianti. Ci sono difficoltà legate agli spostamenti, al tempo da impiegare, all’individuazione del centro, cui si aggiungono quelle per mettersi alle spalle la dipendenza. Spesso il paziente dice: “Ero fortemente motivato ma alla fine non ce la faccio, è più forte di me”.
Si tenta di smettere, ma c’è anche una strategia di riduzione del rischio: come si sviluppa?
È la strategia più discussa. Se ho un iperteso con una pressione massima di 160 devo cercare di portarlo a 120 perché non abbia più problemi, ma se lo porto a 150 o 140, ottengo una riduzione del rischio di avere una malattia cardiovascolare. Il messaggio da dare è che non bisogna fumare, senza se e senza ma. Però bisogna rimanere con i piedi per terra e cercare di proteggere il paziente che, anche se stimolato in tutti i modi a smettere, dopo aver usato i farmaci e aver frequentato un centro antifumo, non ha avuto successo. E allora perché non cercare di convertire il fumo convenzionale in un fumo che è un aerosol solo di nicotina?
A questo proposito l’Organizzazione mondiale della sanità e le istituzioni europee tendono a equiparare i prodotti senza combustione alla sigaretta. Perché li mettono sullo stesso piano? Lei è d’accordo?
L’Oms è su una linea chiara: non si fuma e tutto ciò che è una sigaretta o l’equivalente di una sigaretta deve essere tout court combattuto. Già ci sono delle brecce, e anche grosse, in questa presa di posizione. Parlo del sistema sanitario britannico e delle linee guida americane, dove è chiaramente indicato che anche in una forma alternativa del tabagismo vi possono essere dei vantaggi. In una sigaretta la nicotina determina dipendenza, ma è la combustione che libera decine di sostanze tossiche e cancerogene che determinano patologie cardiovascolari e oncologiche.
Alla luce della sua esperienza clinica quali sono i benefici per chi ha smesso di fumare o sceglie di utilizzare prodotti senza combustione?
Una persona che smette di fumare può tornare ad assaporare gli alimenti, riduce l’alitosi, migliora il derma, ha benefici ai denti, migliora la tolleranza allo sforzo: chi aveva il fiatone dopo dieci gradini, dopo un mese o due mesi vede che può fare non una ma due rampe di scale senza averlo.
E con i prodotti alternativi succede la stessa cosa?
Sembrerebbe di sì. Sappiamo già che le nostre arterie, passando dalla sigaretta convenzionale al riscaldamento del tabacco, in poche settimane acquistano una elasticità che prima non avevano. Su questo abbiamo delle prime evidenze. Abbiamo comunque bisogna di ricerca, siamo alla preistoria nel proporre il concetto di riduzione di rischio tabagico. Sappiamo ancora poco anche se quel poco che sappiamo già ha lasciato un segno.
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