“Quando nel centro storico di una città il pm10 raggiunge i 50 microgrammi per metrocubo si vieta la circolazione delle auto, ma quando si fuma una sigaretta si producono 400 microgrammi. Se vogliamo essere incisivi nella lotta anti fumo bisogna diffondere queste notizie nelle famiglie, nella scuola, dappertutto”. Secondo Vincenzo Montemurro, cardiologo, internista responsabile ambulatorio di Cardiologia Cds “Scillesi d’America” di Scilla, docente della scuola di specializzazione di cardiologia dell’università Cattolica “Signora del Buon Consiglio” di Tirana, la lotta contro il fumo passa principalmente per l’informazione. Perché gli effetti dannosi dell’uso delle sigarette non sono affatto conosciuti da tutti. Ma di fronte ai tentativi falliti di ridurre il numero dei fumatori per chi non riesce a smettere è consigliabile l’uso di alternative come la sigarette elettronica e il tabacco riscaldato: riducono il danno del 90%.



I dati sui fumatori in Italia non lasciano dubbi: le persone dipendenti dalle sigarette non accennano a diminuire. Quali sono i numeri per inquadrare il fenomeno?

Siamo arrivati al 24.5% di fumatori. Durante il periodo del Covid la popolazione dei fumatori è aumentata di quasi un milione di persone. L’Oms nel 2010 si era posta l’obiettivo di portare il numero dei fumatori a livello mondiale al 19%, mentre era intorno al 22-23%. A distanza di 13 anni non è così.



Questa crescita significa che sono fallite le politiche antifumo?

Sì. Nonostante si insista sui corretti stili di vita e la propensione a contrastare il fumo di sigaretta gli obiettivi per il momento non sono stati raggiunti.

Qual è il principale ostacolo da superare?

Ci vuole una maggiore consapevolezza dei danni del fumo. Come medico sento miei pazienti che hanno patologie cardiovascolari importanti che ancora sottovalutano l’importanza dell’effetto nocivo del fumo. Mi dicono: “Dottore cosa vuole che sia, mi faccio una o due sigarette, dopo mangiato”. Non si rendono conto che basta una sigaretta: con la combustione si producono da 4 a 8mila sostanze dannose, molte riconosciute cancerogene. Figuriamoci se se ne fumano 20. Qui sta il problema: si tende a minimizzare. Anche la classe medica dovrebbe essere più incisiva nel diffondere messaggi finalizzati alla abolizione del fumo. Purtroppo, ci sono anche medici che fumano.



Qual è, invece, il prezzo che paghiamo dal punto di vista della salute?

Ogni anno nel mondo muoiono 7 milioni di persone per patologie fumo correlate. E’ come dire che quattro nazioni come Albania, Lettonia, Estonia e Islanda, che complessivamente hanno una popolazione di 6 milioni 900mila, scompaiono ogni anno.

Anche molte persone che vogliono smettere e si recano in un centro antifumo per farsi aiutare, in realtà spesso e volentieri non riescono a ottenere il risultato sperato. Anche qui i numeri certificano un fallimento delle politiche adottate?

I centri antifumo purtroppo sono falliti. Secondo i dati dello studio Passi, condotto dall’Istituto superiore della sanità, nell’ultimo anno del Covid in Italia siamo passati dal 22.3% al 24.5% di fumatori. Il 36% ha iniziato un programma per smettere di fumare, ma ci è riuscito solo il 9%. Sono troppo pochi. Le regioni peggiori sono Abruzzo, Campania e Umbria, che ha il 28% di fumatori. E mancano i dati della Lombardia.

Non si smette neanche se insorge una patologia?

La prevenzione secondaria è ancora peggio: a un anno dalla diagnosi solo la metà di chi è affetto da un carcinoma polmonare ha smesso di fumare. E lo stesso dicasi per chi ha avuto un infarto acuto: il 51% continua a usare le sigarette. Ancora peggio i pazienti che hanno avuto un ictus o un attacco ischemico transitorio: solo il 33% ha smesso.

Visto che smettere è difficile si può parlare almeno di riduzione del danno e del rischio attraverso l’uso delle sigarette elettroniche e del tabacco riscaldato?

Partiamo anche qui dai dati. In Italia ogni anno muoiono 90mila persone per malattie fumo-correlate, 246 persone al giorno, 10 ogni ora. E’ come dire: ogni giorno cade un aereo con 246 persone a bordo: tutto questo ci lascia indifferenti? Gli altri Paesi non sono messi meglio: in Germania ne muoiono 112mila, in Gran Bretagna 138mila, negli Usa 461mila, l’ex Unione sovietica è più o meno sullo stesso livello. Decessi superiori a quelli correlati all’alcol, alla droga, agli incidenti stradali. La nicotina dà dipendenza, una volta accesa la sigaretta dopo dieci secondi ha già raggiunto i suoi recettori. Però con la combustione, che inizia a 400 gradi, si producono una serie di sostanze che sono tossiche.

Quali sono i possibili effetti sulla salute?

Basta pensare ai pireni, all’acido cianidrico, al cadmio, all’arsenico, all’acetone, al metanolo: sono tutte sostanze che vengono prodotte dalla combustione. Il benzopirene è cancerogeno per il polmone e per la pelle. Nei fumatori l’aumento del carcinoma vescicale è superiore di 5-7 volte rispetto ai non fumatori. Il polonio 210 emana negli alveoli quelle radiazioni alfa che modificano la struttura del Dna nelle cellule della mucosa bronchiale e determinano il cancro. E molte altre sostanze prodotte nella combustione hanno gli stessi effetti. Chi fuma lo fa per la nicotina e la sensazione di benessere che produce, ma si muore per la combustione. Chi fuma venti sigarette al giorno assorbe mediamente in un anno l’equivalente di una tazza di catrame: è come asfaltarsi i polmoni.

Visti i dati, quindi, l’uso delle alternative alla sigaretta tradizionale può servire?

La problematica se l’è posta anche l’American College of Cardiology, la più prestigiosa società di cardiologia americana. Posto che nonostante i consigli, i centri antifumo, gli studi, le modifiche agli stili di vita, le persone continuano a fumare sigarette tradizionali a combustione, hanno preso in considerazione anche progetti alternativi, i nuovi device: la sigaretta elettronica o il tabacco riscaldato. Si autocontrollano: c’è la nicotina ma a 350gradi il processo si autoblocca e non si arriva alla combustione. Si riduce di oltre il 90% la produzione delle sostanze nocive. Allora al 50% di pazienti che hanno avuto un infarto e che dopo un anno continuano a fumare possiamo dare un’alternativa? L’ideale sarebbe smettere di fumare, il fumo va abolito. Ma se ho una sigaretta che dà il 100% di danno e ne ho una che lo riduce di oltre il 90% devo incoraggiare a seguire strade meno tossiche.

Ci vuol un piano choc? Cosa si può fare per sostenere queste alternative?

Con la modifica del titolo V le regioni sono autonome in materia di Sanità. E quando durante il primo Governo Conte le Marche votarono una legge regionale che prendeva atto di questa realtà, la legge Carloni, la ministra della Salute Giulia Grillo, dei 5 Stelle, la avversò, anche se poi fece marcia indietro. Questa legge va nella direzione del documento dell’American college del 2018. Se ho un paziente che non riesce a smettere almeno con i nuovi device riesco a ridurre gli effetti. Ci vuole una riduzione del danno.

 

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