L’esperienza di molti Paesi lo dimostra: l’utilizzo della sigaretta elettronica e del tabacco riscaldato contribuisce in maniera consistente a ridurre gli effetti del fumo. In Gran Bretagna in primis, ma anche ad altre latitudini, come in Giappone, si sono già ottenuti risultati rilevanti. Per ridurre l’esercito dei fumatori di sigaretta anche in Italia, migliorando la sostenibilità del sistema sanitario e la vita delle persone, c’è bisogno di una politica che spinga sull’utilizzo delle alternative al fumo.
Lo spiega Riccardo Polosa, ordinario di medicina interna all’Università di Catania e fondatore del CoEHAR, il centro di ricerca multidisciplinare che studia soluzioni per la riduzione del danno da fumo.
Perché è così importante, oltre che per la salute dei singoli, trovare una soluzione al problema del fumo?
Il numero dei fumatori in Italia è ancora troppo elevato e questo ha un impatto negativo sulla sostenibilità del nostro sistema sanitario e sulla qualità della vita di molte persone. Si può fare di più. Siamo entrati in una nuova fase nel XXI secolo, in cui, oltre alle tradizionali politiche di contrasto al tabagismo, che non sono più sufficienti – mi riferisco alla legge Sirchia –, entrano in gioco nuove alternative, sostitutive al fumo di tabacco, che costituiscono un elemento importante del principio della riduzione del rischio o del danno.
Cosa manca principalmente?
In Italia manca una proposta di politica sanitaria ricevibile da coloro che non riescono a smettere di fumare. L’unica via è quella di conciliare la riduzione del danno con le politiche di contrasto al tabagismo esistenti. Non è un sogno irrealizzabile. È una proposta concreta che sta già dando risultati straordinari in Paesi come Gran Bretagna, Svezia, Giappone e Norvegia. Tutte nazioni che hanno sposato il principio della riduzione del rischio attuando delle politiche ad hoc e promuovendo l’uso di prodotti senza catrame. Si muore per il prodotto della combustione, il catrame, non per la nicotina.
Sigarette elettroniche e tabacco riscaldato quanto e come aiutano a ridurre il rischio?
Quello che sappiamo ci arriva dalle informazioni della tossicologia. Prima di vedere una riduzione del rischio di sviluppare malattie fumo-correlate ci vorranno decine di anni: occorrono 20-30-40 anni per sviluppare una malattia fumo-correlata. È difficile dare un’evidenza diretta, però sono possibili evidenze indirette: le alternative alla sigaretta tradizionale non contengono prodotti di combustione del tabacco, non sono risk free, ma il loro rischio è ridotto dall’80 al 99% a seconda dei parametri che si vanno ad analizzare. Al Centro di eccellenza per la riduzione del rischio che ha sede nell’Università di Catania i nostri ricercatori hanno dimostrato con uno studio molto elegante, in collegamento con sette laboratori in diverse parti del mondo, che una riduzione del rischio tossicologico a livello di cellule respiratorie polmonari era possibile nell’ordine dell’80-90%.
Se sono un fumatore e scelgo di usare le alternative al fumo, posso avere subito un riscontro immediato riguardo alle mie condizioni fisiche e di salute?
Stiamo parlando di riduzione del danno, che è un’altra cosa e possiamo valutare più velocemente rispetto alla riduzione del rischio. Chi fuma e non ha ancora sviluppato delle patologie da fumo può, sdoganandosi dalle sigarette convenzionali, apprezzare un miglioramento della qualità della vita, in termini soprattutto di miglior performance fisica, dopo qualche settimana e una riduzione dei sintomi respiratori, la famosa “tossetta” del mattino del fumatore cronico.
Cosa ci manca per sdoganare completamente l’uso delle sigarette elettroniche? Gli studi attuali bastano per dare un giudizio di merito o c’è bisogno di altri approfondimenti?
Gli approfondimenti servono sempre, anche perché sono prodotti in evoluzione. Se tutti gli esperimenti di emissione ed esposizione fanno vedere una massiccia riduzione di sostanze tossiche e cancerogene, se è vero che la patogenesi delle malattie fumo correlate è collegata alla presenza e alla concentrazione di queste sostanze tossiche e cancerogene e se è vero che conosciamo la tossicità delle sigarette convenzionali, mi pare quasi intuitivo capire che questi prodotti oltre a ridurre il rischio riducono anche il danno. Esistono una serie di evidenze scientifiche a supporto di questa affermazione: il futuro dovrà essere quello di investigare gli effetti dell’esposizione a lungo termine di questi prodotti senza combustione in persone che non hanno mai fumato in vita loro. La Cochrane Revue, la Bibbia delle ricerche cliniche randomizzate e controllate, ha concluso che la possibilità di smettere di fumare aumenta dal 60 al 70% rispetto al cerotto con la nicotina, in tutti coloro che utilizzano i prodotti di nuova generazione.
Sono ricerche che riguardano anche casi italiani?
Vengono messe insieme ricerche sia italiane sia inglesi, americane, neozelandesi, australiane. Le osservazioni superano i 10mila soggetti studiati. Si tratta di un campione significativo. In Uk, Svezia e Giappone c’è un crollo del consumo del tabacco combustibile. In Giappone, in sei anni, da quando sono stati introdotti i prodotti a tabacco riscaldato, c’è una riduzione di oltre il 50% nell’uso del tabacco combustibile. Tutto si sta traducendo in una forte riduzione del tabagismo in questo Paese.
In Gran Bretagna l’uso della sigaretta elettronica viene quasi prescritto dal medico. Cosa si può fare per indurre i fumatori a usare i prodotti alternativi?
Il Governo inglese ha lanciato il mese scorso un programma nazionale di riduzione del rischio che si chiama swap to vape: daranno gratuitamente a un milione di fumatori la possibilità di usare dei kit di sigarette elettroniche con l’obiettivo di cercare di ridurre la prevalenza del tabagismo sotto la soglia di eradicazione, che è il 5%.
Ci vuole un intervento a livello ministeriale, di Governo?
La grande differenza non la fanno gli scienziati ma la scelte politiche, in Gran Bretagna, Nuova Zelanda, Svezia e Giappone. Il Regno unito ha una lunga storia di contrasto al tabagismo: era l’unico Paese ad avere un centro antifumo in ogni ospedale. Dopo vent’anni di questa politica si sono resi conto che i risultati restavano troppo modesti. Quindi hanno pensato bene di utilizzare le nuove alternative tecnologiche a disposizione. Hanno guardato alle evidenze scientifiche: quella era l’unica strada percorribile.
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