Niente fumo all’aperto se ci sono donne in gravidanza o minori. Niente locali riservati ai fumatori e divieti estesi, oltre alle sigarette tradizionali, anche a sigarette elettroniche e tabacco riscaldato. Le novità annunciate dal ministro della Sanità Orazio Schillaci hanno avuto almeno il merito di riportare all’attenzione il problema della lotta al fumo.



“È una stretta in relazione a un fattore di rischio, il fumo, che ogni anno in Italia causa 80mila decessi – dice Pietro Ferrara, specialista in igiene e medicina preventiva dell’Istituto Auxologico –, impensabile andare contro una stretta del genere. Per chi si occupa di sanità pubblica l’obiettivo è migliorare lo stile di vita delle persone e ridurre l’impatto delle patologie”. Ma il discorso non finisce qui: occorre definire una strategia per rendere la lotta al fumo più efficace.



Al di là dei nuovi divieti, come vanno ripensate le iniziative della sanità pubblica per smettere di fumare?

Benissimo il divieto, ma per fare sanità dobbiamo anche offrire un servizio: dobbiamo considerare il fumatore non voglio dire come un paziente, ma come una persona che ha a che fare con una dipendenza, probabilmente una di quelle più complicate da distruggere. Dobbiamo supportare anche con iniziative diverse il fumatore. Con il Pnrr abbiamo cominciato a capire l’importanza della sanità di prossimità, di creare dei luoghi di cura  vicini al cittadino. Questi potrebbero essere la naturale sede di nuovi centri antifumo.



Non ci sono abbastanza centri di questo tipo?

Uno dei problemi oggi è la diminuzione dei centri antifumo: dal 2019 al 2022 sono scesi da 292 a 223. Il discorso non è solo numerico. I fumatori non sono tutti uguali, è diversa la tipologia di fumo, la quantità, la motivazione, la resistenza a smettere di fumare: se fumo 5 sigarette al giorno posso smettere con un certo numero di tentativi, se ne fumo 25 la dipendenza è più forte. Quindi anche dal ministero dovrebbe partire un’iniziativa più grossa, coinvolgendo gli esperti sul fumo e gli esperti dell’organizzazione sanitaria, che preveda un supporto medico di personale specialistico, supporto psicologico, perché dobbiamo andare a capire quali sono le ragioni.

Il problema però non è portarceli, i fumatori, nei centri antifumo?

Associato a tutto ciò ci deve essere una grossa parte di formazione e informazione sul fumatore, per cui dobbiamo arrivare a veicolare messaggi diretti che siano soprattutto basati sullo stato delle evidenze scientifiche. Non è solo dire “Non ti faccio fumare” ma “Non ti faccio fumare, hai bisogno di supporto”.

L’informazione, quindi, riguarda le modalità con le quali si può uscire dal fumo, non è quella un po’ minacciosa che si trova sui pacchetti di sigarette?

Anche in quel caso, abbiamo visto che all’inizio c’è un impatto enorme sul fumatore ma poi ci si abitua. Il fumatore penso che sappia che il fumo causa grossi danni, fino addirittura ad uccidere. Ma non è solo quello. Quando sono comparse le foto anche dei danni del fumo sui pacchetti di sigarette c’era stato un calo nelle vendite ma anche altrettante vendite di portapacchetti di sigarette per coprire quei messaggi.

In questo contesto le alternative al fumo tradizionale (sigarette elettroniche, tabacco riscaldato) possono servire a qualcosa?

È una questione complessa: la letteratura scientifica ha dei grossi buchi, non sappiamo ancora quello che succede a lungo termine perché sono prodotti abbastanza recenti. Uno dei più grossi riferimenti scientifici sulle sigarette elettroniche è Public Health England, un’agenzia governativa che realizza una serie di report, solidi dal punto di vista metodologico, indipendenti e revisionati a cadenza periodica: loro ci dicono che il rischio per il fumatore sembra essere ridotto.

Dunque in qualche modo aiutano.

Noi dobbiamo evitare soprattutto una cosa, che le persone si avvicinino a questi prodotti se non sono mai stati fumatori. Occorre evitare che le nuove generazioni si avvicinino non solo alle sigarette ma anche a questi prodotti. Diverso è il ragionamento se possono essere utili al fumatore, soprattutto al fumatore accanito. Se quel fumatore noi possiamo intercettarlo con un esperto è diverso. Abbiamo visto diversi trial clinici in cui quando c’è un faccia a faccia con il professionista l’utilizzo di questi dispositivi ha un’alta probabilità di successo. Da un lato, quindi, dobbiamo stare attenti sulla sicurezza di questi prodotti perché non sono liberi da rischi, non ne sappiamo abbastanza, ma dall’altro parliamo di riduzione del danno.

(Paolo Rossetti)

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