COS’È LOTTA CONTINUA E PERCHÈ SE NE PARLA ANCORA OGGI

Lotta Continua come movimento politico comunista durò “solo” 7 anni ma rimane impresse per sempre nella memoria storica degli Anni Settanta, degli Anni di Piombo e in qualche modo sopravvisse nei tantissimi esponenti poi usciti da Lc ma presenti nella cultura, tv e società anche di oggi. In occasione del docufilm “Lotta Continua” in onda questa sera alle ore 21.25 su Rai 3, a cura di Tony Saccucci, ripercorriamo in “pillole” cos’è il movimento fondato nel 1969 da Adriano Sofri e scioltosi nel congresso di Rimini nel 1976: dalla formazione all’impegno politico, fino alla lotta armata e alla disgregazione in seguito a diverse condanne pesanti.

Sul finire degli Anni Sessanta nell’Italia travolta dalle contestazioni e dai primi attacchi di eversori di destra e sinistra, a Torino nasce il gruppo rivoluzionario che si ispira alle idee del comunismo, marxismo e lotta proletaria: nel 1969 riunisce esponenti e studenti di ogni estrazione (anche cattolici e maoisti) per fondare il movimento di Lotta Continua. Partito con l’impulso operaio, nel corso dei suoi 7 anni di attività il movimento di Lc si “spostò” su temi sociali più ampli comprendendo anche le lotte del Mezzogiorno e la sfida allo Stato delle due “grandi chiese”, la Dc e il Pci. Con la forza anche mediatica del quotidiano omonimo “Lotta Continua” (fallito poi nel 1981, ndr), vi fu un avvicinamento alla sinistra tradizionale del Partito Comunista tra il 1974 e il 1976 salvo poi formare un cartello elettorale con alte sigle della sinistra extraparlamentare in “Democrazia Proletaria”. L’insuccesso alle elezioni 1976, assieme agli strascichi dell’omicidio del commissario Luigi Calabresi, allo sviluppo del movimento femminista (che contestava forte componente sessista in Lc) e al mutamento della situazione politica del Paese, portarono Sofri a sciogliere Lotta Continua.

I MEMBRI E LE CONDANNE DI LOTTA CONTINUA

Appelli, manifestazioni, scioperi, volantini e sfida all’establishment: Lotta Continua in soli 7 anni cercò di porsi come interlocutore giovanile nel mondo della sinistra comunista, attraendo diverse figure del mondo culturale, scolastico e mediatico. Dalla nascita fino all’inizio del 1972 la dirigenza di Lc si compose nei vertici di Giorgio Pietrostefani, Mauro Rostagno, Guido Viale, Cesare Moreno, Paolo Brogi, Lanfranco Bolis, Carla Melazzini, Marco Boato, Adriano Sofri e molti altri. Nello spirito voluto da Sofri, i quattrocento delegati circa decisero di aumentare la centralizzazione dell’organizzazione e di rafforzare i servizi d’ordine nelle piazze «contro l’aumento della violenza fascista in piazza». Nell’esacerbarsi della lotta si arrivò alle tristi conseguenze della Strage di Piazza Fontana (12 dicembre 1969): una massacrante campagna mediatica e politica contro il commissario di polizia Luigi Calabresi – dal cui ufficio, senza però che lui fosse presente, morì l’anarchico Pietro Pinelli caduto misteriosamente dalla finestra della Questura di Milano – portò all’inquietante omicidio del commissario il 17 maggio 1972.

Il giornale di Lotta Continua titolò il giorno dopo: «Ucciso Calabresi, il maggior responsabile dell’assassinio Pinelli». Al netto che i processi postumi all’uccisione del commissario dimostrarono l’assoluta innocenza di Luigi Calabresi nella morte dell’anarchico poche ore dopo la strage di Piazza Fontana, il problema per Lotta Continua arrivò con i primi sospetti (non definiti all’epoca) su presunti coinvolgimenti nell’agguato. Fu poi 16 anni dopo i fatti che Leonardo Marino, militante di Lotta Continua nel 1972, che confessò di aver fatto parte del commando di due uomini che uccise Calabresi: accusò Ovidio Bompressi di aver sparato materialmente mentre definì come mandanti i due leader di Lc, Sofri e Pietrostefani. Dopo lunghissima vicenda giudiziaria, Marino venne creduto e la pena per Bompressi, Sofri e Pietrostefani fu di 22 anni con sentenza definitiva. Il fondatore di Lotta Continua, sempre dichiaratosi pienamente innocente, venne scarcerato nel gennaio 2012 per decorrenza della pena, ridotta a 15 anni per effetto dei benefici di legge: si assunse la corresponsabilità morale dell’omicidio con la campagna massacrante contro Luigi Calabresi, ma rifiutò di aver dato alcun ordine di uccidere il commissario. Come ben spiega nel docufilm di Saccucci il giornalista Paolo Liguori: «Sofri capì perfettamente la natura del conflitto tra uomini e donne. Però capì anche la natura del conflitto interno con un’ala pericolosamente violenta e fuori controllo: usò la critica spietata e durissima delle donne anche come “onorevole soluzione” per chiudere». Se storicamente passò inizialmente l’idea di un conflitto interno su leadership e poca presenza femminile in tempi di contestazione femminista, il vero tema sulla “fine” di Lc riguarda proprio l’impossibilità ormai resa palese di “contenere” quanti nel gruppo volevano passare alla lotta armata, come tristemente avvenne su altri gruppi come Prima Linea o peggio ancora il terrorismo delle Brigate Rosse. Con Liguori furono tanti i volti poi divenuti famosi in tv o sui giornali ad essere stati membri di Lotta Continua: tra gli altri, si ricordano Massimo Cacciari, il figlio di Bobbio (Luigi), Paolo Flores d’Arcais, Luigi Manconi, Lanfranco Pace. Fecero parte anche se brevemente di Lc anche Mario Capanna, storico leader del Movimento Studentesco, e Renato Curcio, fondatore e capo storico delle Brigate Rosse.