NOVITÀ SULLA MORTE DI LUCA ATTANASIO: L’AMBASCIATORE IN CONGO TEMEVA DI ESSERE SPIATO

Non era mai emerso prima ma nelle settimane e nei mesi che hanno preceduto il terribile agguato in Congo, l’ambasciatore italiano Luca Attanasio temeva di essere spiato e controllato: lo rivela il quotidiano della CEI “Avvenire” mostrando parte delle carte dell’inchiesta sui funzionari del Pam Rocco Leone e Mansour Rwagaza, gli organizzatori della missione nel nord del Congo dove persero la vita oltre al diplomatico, anche il carabiniere Vittorio Iacovacci e l’autista Mustapha Milambo.



Dopo la conferma nella prima metà del 2024 dell’immunità diplomatica sui due membri ONU del Programma Alimentare Mondiale accusati di omicidio colposo e coinvolgimento nell’agguato avvenuto il 22 febbraio 2021 a Nord Kivu contro la delegazione di Attanasio, l’inchiesta si è arenata visto lo stop in tribunale . Ebbene, ai colleghi di “Avvenire” è giunto il materiale raccolto fin lì dove emerge un’importantissimo colloquio avvenuto il 6 marzo successivo all’attentato presso l’ambasciata italiana in Congo: sono gli agenti del Ros a interrogare Luigi Arilli, caposcorta di Attanasio e Iacovacci chiedendo conto dei dispositivi elettronici usati dall’ambasciatore ucciso.



In quell’occasione il carabiniere ha rivelato che proprio parlando nei vari spostamenti in auto con Luca Attanasio era stato il diplomatico a riferire del forte sospetto sulla possibilità di essere spiato: «aveva il sospetto che il suo iPhone fosse intercettato, perché si scaricava velocemente. Questo lo ha ripetuto due o tre volte», ha raccontato Arilli ai colleghi dei Ros. Attanasio non ne aveva mai fatto accenno al padre Salvatore, agli amici né alla moglie Zakia Seddiki, il che porterebbe a pensare che fosse un modo di proteggere i suoi cari da un sinistro sospetto molto grave.

LE PROVE, GLI IMPEGNI E IL MISTERO SULL’AGENDA: COSA EMERGE SULLE CARTE DELL’INCHIESTA ATTANASIO

Il punto da capire è se fosse confermato il sospetto confidato da Attanasio chi possa davvero aver messo sotto controllo il diplomatico, ed evidentemente avrebbe una connessione effettiva sui reali mandanti ed esecutori dell’agguato mortale di tre anni fa. Secondo le indagini svolte fino allo stop imposto dal tribunale, Attanasio avrebbe chiesto a Iacovacci già ad inizio 2021 l’informativa su quale agenzia di sicurezza privata italiana potesse essere contattata per svolgere alcuni servizi, ma al momento non vi sono motivi effettivi motivi emersi in merito.



Non solo, rimangono tutti i misteri irrisolti in merito all’agenda di impegni di quei giorni, in particolare sul giorno 22 – ultimo di 4 giorni dedicati alla missione nel nord del Congo – in cui Attanasio in realtà non aveva in programma un fitto unirsi di appuntamenti: è invece emerso all’ultimo, come confermato dalla moglie di Luca Attanasio, che ulteriori impegni improvvisi sono stati presi dal diplomatico che forse proprio per il timore di essere spiato non aveva condiviso per tempo. Addirittura alcuni elementi delle indagini avrebbero confermato un maldestro tentativo di rimuovere e modificare postumi alcuni impegni salvati sulla sua agenda elettronica condivisa sui device Apple di sua proprietà. Dalle immediate indagini avviate dall’AISE in Congo dopo l’attentato, emerge in sostanza non solo Attanasio si sentiva pedinato e spiato, ma che addirittura dopo la sua misteriosa morte qualcuno ha frugato i suoi appunti elettronici, tentando poi di entrare nei profili personali dei suoi carabinieri. Chi lo ha pedinato? Per quale motivo? Cosa aveva scoperto? E soprattutto, chi ha avvisato i killer del convoglio passato proprio in quell’area del Paese tenuto celato fino all’ultimo dallo stesso Attanasio? Tanti, troppi dubbi, con un’inchiesta che al momento non decolla ma che si spera possa condurre prima o poi al ristabilire la verità sulla morte di uno straordinario servitore dello Stato.