«Ho iniziato a fare questo lavoro in maniera del tutto casuale. Non ho frequentato scuole di cinema, non ho fatto scuole di fotografia, non ho fatto l’assistente ai fuochi a nessun operatore di macchina. Mi sono trovato con delle normali conoscenze fotografiche e l’avvento delle pellicole sensibili, per cui si poteva mettere poca luce e arrivare all’esposizione necessaria per la pellicola, e ho cominciato a fare il direttore della fotografia. Il mio lavoro è realmente inventato, nel senso che molti degli accorgimenti che questo modo di procedere, anomalo, porta con sé, sono spesso inventati. È anche la misura della felicità con cui fai un film: non ti viene voglia di produrre oggetti se non ti stai divertendo nel creare. […] Sapere come ottenere una cosa da un lato tranquillizza, dall’altro non ti permette di inventare più niente. La paura, l’ansia, la scoperta che avevo quando ho cominciato a fare il direttore della fotografia è per me un patrimonio prezioso che non bisogna dimenticare. […] In questo buco di conoscenza, c’è tutta la creazione. Qui sta il cinema». Parola di Luca Bigazzi, al quale domani pomeriggio, domenica 1 settembre alle 16:30 in Sala Grande (Palazzo del Cinema), nell’ambito degli eventi legati alla 76ª Mostra di Venezia in corso al Lido, sarà consegnato il premio “Campari Passion for Film” (il marchio è da anni Main Sponsor della rassegna), prima della proiezione Fuori Concorso, in prima mondiale, di un “assaggio” del suo nuovo lavoro: gli episodi 2 e 7 della serie The New Pope di Paolo Sorrentino con Jude Law, John Malkovich e Silvio Orlando.
Il direttore Alberto Barbera ha dichiarato che «[i]l cinema italiano, dalla seconda metà degli anni Ottanta a oggi, è legato in larga misura allo straordinario lavoro di Luca Bigazzi. Con un approccio personale e controcorrente, Bigazzi ha rivoluzionato il modo di intendere il lavoro del direttore della fotografia: poco tempo dedicato a posizionare le luci, utilizzo creativo e geniale delle sorgenti luminose naturali, da sempre incollato alla cinepresa per individuare la migliore inquadratura possibile e i più congeniali movimenti di macchina. Privo di qualsiasi atteggiamento reverenziale nei confronti del 35mm, al contrario è aperto alla sperimentazione più gioiosa delle inedite possibilità offerte dallo sviluppo della tecnologia di ripresa e di manipolazione dell’immagine. L’estrema versatilità, che gli consente di lavorare con registi molto diversi l’uno dall’altro […], si coniuga perfettamente con le doti di velocità, precisione, sprezzo delle regole consolidate, predisposizione ad adattarsi a ogni tipo di budget, che lo hanno imposto su tutti come il miglior direttore della fotografia italiano degli ultimi trent’anni».
Il premio – istituito l’anno scorso e allora attribuito al montatore statunitense Robert Lee (Bob) Murawski, Oscar per The Hurt Locker – vuole valorizzare figure quali direttori della fotografia, montatori, compositori, scenografi e costumisti, considerandoli non come semplici artigiani, ma autentici artisti e co-autori delle opere cui offrono il contributo del loro talento. Per quanto riguarda Luca Bigazzi (1958) – al di là dell’esordio nella pubblicità (come aiuto regista nel 1977), del sodalizio con Silvio Soldini (con cui approda al cinema nel 1983), del lavoro con Mario Martone («Può capitare addirittura di andare a girare negli stessi luoghi e questo lo trovo terrificante […] ma può essere bello se riesci a rendere i posti molto diversi. A volte funziona: la Napoli di Morte di un matematico napoletano è la stessa di Un amore molesto eppure, sebbene talvolta ci siano quasi gli stessi scorci, sono due Napoli molto diverse visivamente»), dell’esperienza con Ciprì e Maresco, dell’avventura in Albania con Gianni Amelio per Lamerica (seguita da altri cinque film con il regista), delle collaborazioni con Giuseppe Piccioni, Carlo Mazzacurati, Francesca Comencini, Antonio Capuano e della partecipazione al cinema di Paolo Sorrentino – basterà qui ricordare i suoi sette David di Donatello – Lamerica (1994), Pane e tulipani (2000), Le conseguenze dell’amore (2004), Romanzo criminale (2005), Il divo (2008), This Must Be the Place (2011), La grande bellezza (2013) – e gli altrettanti Nastri d’argento: nel 1995 per Lamerica; nel 2002 per Brucio nel vento; nel 2005 per Le chiavi di casa, Le conseguenze dell’amore e Ovunque sei; nel 2012 per This Must Be the Place; nel 2013 per L’intervallo, La grande bellezza e Un giorno speciale; nel 2015 per Youth – La giovinezza; nel 2017 per La tenerezza e Sicilian Ghost Story. Inoltre, grazie a The Young Pope di Sorrentino, è stato il primo direttore della fotografia italiano a essere candidato al Primetime Emmy Awards… Scontato dire che stavolta il brindisi è davvero d’obbligo!