CALDIROLA, “HO INIZIATO A GIOCARE A CALCIO PER CASO!”
Lo sport, tra i vari insegnamenti, ci racconta come non è mai troppo tardi per avverare i propri sogni e quello di Luca Caldirola è un esempio. Perché d’altronde non sempre c’è la storia del predestinato che già da giovanissimo si rivela un campione di caratura internazionale e da lì è destinato a vivere sulla cresta dell’onda. Ogni tanto esistono storie come quella del difensore del Monza che vale la pena aspettare per raccontare.
Nato a Desio, Caldirola è stato sin da subito etichettato come un ragazzo prodigio, destinato a grandi palcoscenici in tenera età. A dar ragione a tutto questo è stato il suo passaggio all’Inter a otto anni, strappato alle giovanili del BaSe 96 Seveso con cui aveva iniziato a tirare i primi calci al pallone: “Ho iniziato a giocare a pallone per caso – ricorda Caldirola al Corriere – Mio padre allenava i portieri della Base 96, società di Seveso. Mi invitarono a entrare nella scuola calcio, il borsone era più grande di me. Oggi sento ancora il presidente nonostante me ne sia andato “pulcino” all’Inter».
CALDIROLA, L’ESPERIENZA IN GERMANIA
L’avventura di Caldirola all’Inter dura ben poco visto che dopo aver vinto gli Scudetti Giovanissimi e Allievi e un torneo di Viareggio da Capitano, debuttando in Prima Squadra in occasione del match di Champions League contro il CSKA Mosca nel 2011, il difensore lascia i nerazzurri nel 2013 per il Werder Brema. Prima di questo trasferimento a titolo definitivo, da annotare le esperienze in prestito al Vitesse, in Olanda, e la doppia parentesi al Brescia intervallata dalla realtà Cesena, squadra con cui l’Inter proprietaria del suo cartellino si era accordata per la comproprietà, pratica ormai non più esistente nel mondo del calciomercato attuale.
Fatto sta che la cessione in Germania nell’estate del 2013 fa perdere le tracce italiane di quello che era indicato dagli addetti ai lavori come il futuro della difesa nerazzurra post Triplete. La vita a Brema non è semplice: se nel primo anno disputa 33 partite in Bundesliga, l’anno successivo viene girato in prestito al Darmstadt dove gioca con regolarità, ma una volta tornato al Werder nel 2016 una serie di seri infortuni e scelte tecniche lo relegano alla panchina con sei partite in due anni e mezzo
IL RITORNO IN ITALIA DI CALDIROLA
A quel punto Luca Caldirola torna in Italia, più precisamente a Benevento nel 2019, lontano dalla sua Lombardia ma comunque rientrato nel suo patrio suolo dopo l’esperienze tedesca. Al suo primo anno deve salutare il sogno Serie A in semifinale dei playoff contro il Cittadella mentre nella seconda stagione vince il campionato cadetto con relativa promozione automatica. Nell’estate del 2021 il trasferimento atteso di una vita, quello nella sua amata Monza, dove oggi racconta come a 7 anni andava al Brianteo a tifare il Monza in Serie B.
Un ritorno a casa, per Luca Caldirola, che si sposa con la promozione in Serie A dove trova il suo primo gol, anche se in realtà la Lega assegna autorete, proprio ironia della sorte contro la sua ex squadra, l’Inter: “Non è stato un banale gol dell’ex, non c’era voglia di rivalsa, piuttosto si è avverato il mio sogno primordiale: segnare con questa maglia in A tra il boato di uno stadio pieno. Ho arrestato la corsa cercando la Curva, principio della mia passione per i biancorossi, sembrava di riavvolgere il nastro di un film”.
CALDIROLA, I RICORDI DELL’INFANZIA CALCISTICA
Come spesso capita dopo aver raggiunto l’apoteosi della propria carriera, è più piacevole fare un passo indietro e pararle delle difficoltà affrontate da più giovane, ma con il sorriso e la consapevolezza di un adulto: “Da subito c’è stata attenzione anche alla condotta fuori dal campo. Portavo la pagella, chi aveva brutti voti rischiava uno stop, e i dirigenti guardavano eccome alla disciplina. Le scarpe? Sempre pulite. Entrava qualcuno nello spogliatoio? Tutti in piedi. Crescendo, però, conciliare sport e studio è diventato difficile: trasferte lontane, tornei, allenamenti di pomeriggio con la prima squadra. Il diploma da ragioniere l’ho preso un po’ in ritardo: l’anno della maturità giocavo nella massima serie olandese, in prestito al Vitesse”.
Importante estratto anche relativo alla parte mentale: «Durante l’adolescenza mi ha affiancato un mental coach. Mi ha aiutato a sviluppare nuovi punti di vista valorizzando traguardi e sacrifici, la fatica che oggi sembra bandita dalla vetrina social del calcio, dove invece l’ostentazione del successo potrebbe far pensare che sia tutto facile, alla portata. Forse sarebbe meglio se i calciatori si raccontassero ai giovani nelle scuole o negli oratori. Ora mi sono anche iscritto a Psicologia, ma ad oggi la laurea è lontana. Invece mi manca un solo corso per diventare sommelier».